Alcuni dirigenti e dipendenti avrebbero avuto legami con esponenti dei clan

La società Nolostand, controllata da Fiera Milano, è stata posta in amministrazione giudiziaria perché alcuni dirigenti e dipendenti avrebbero avuto contatti con la mafia. Lo ha stabilito il gip Maria Cristina Mannocci con un decreto che ha portato al commissariamento della società. Proprio la Nolostand, fornitrice di Fiera Milano dal 2013, avrebbe dato il subappalto al consorzio di cooperative Dominus scarl per realizzare gli allestimenti espositivi del Palazzo Congressi, dell'Auditorium, dei padiglioni della Francia e del Qatar e della Guinea e della Birra Poretti a Expo.

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Nell'ambito dell'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e i pm dell'antimafia milanese Sara Ombra e Paolo Storari, sono state arrestate questa mattina 11 persone (4 in carcere e 7 ai domiciliari), tra cui proprio gli amministratori di fatto del consorzio di cooperative Dominus scarl, Giuseppe Nastasi e Liborio Pace, accusati di associazione per delinquere finalizzata a fatture false e altri reati tributari, ad appropriazione indebita e a riciclaggio con l'aggravante di aver agito per favorire Cosa Nostra nella famiglia mafiosa siciliana di Pietraperzia di Enna.

La società è stata posta in "amministrazione giudiziaria" dalla sezione misure prevenzione del Tribunale di Milano, presieduta da Fabio Roia, per presunti contatti con personaggi legati a Cosa Nostra. Come di legge nel decreto di commissariamento, alcune persone arrestate oggi per associazione a delinquere di stampo mafioso "hanno avuto e hanno nell'attualità contatti con dirigenti, figure apicali e vertici di Nolostand".

Alcuni degli indagati nell'inchiesta sui padiglioni Expo, tra cui Nastasi e Pace, scrivono i giudici, "hanno avuto, ed hanno nell'attualità, contatti continuativi con dirigenti ed organi apicali di Nolostand s.p.a., finalizzati all'ottenimento o alla proroga di importanti commesse nel settore dell'allestimento di eventi espositivi/fieristici milanesi".

"L'utilizzo di prestanome a capo del consorzio Dominus, di fatto pienamente gestito dagli indagati, nonché delle singole consorziate, ha consentito agli indagati di aggirare sia i controlli istituzionali svolti dalla Dia e dalla Prefettura, che le procedure di internai audit. – si legge ancora nel decreto con il quale è stata disposta l'amministrazione giudiziaria – controlli e verifiche che, seppur formalmente attivate, non hanno evidenziato anomalie in ragione della mimetizzazione degli indagati all'interno del Consorzio".

I giudici sottolineano anche come "sostanzialmente" sia stata "elusa anche la condizione contenuta nella lettera di incarico al Consorzio in-cui si prevedeva l'assegnazione del servizio sotto l'espressa condizione che la società consortile e ciascun suo consorziato siano in possesso dei requisiti di legge per il rilascio del certificato antimafia" e li mantengano per tutta al durata dell'incarico. Naturalmente – concludono-  tali requisiti non potevano essere seriamente verificati quando i rappresentati legali del Consorzio non ne erano gli effettivi gestori".

 

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