Bergamo, 18 set. (LaPresse) – Questa mattina è stata la testimonianza di Keba Gambirasio, la sorella maggiore di Yara, ad aprire l’udienza per il processo a Massimo Bossetti, accusato di aver ucciso la ragazzina di Brembate di Sopra.

La ragazza ventenne, molto emozionata, in aula ha ripercorso il pomeriggio del 26 novembre 2010, quando la sorella non fece ritorno dalla palestra, dov’era andata a portare uno stereo.

Keba ha escluso che Yara conoscesse Bossetti o la sua famiglia o che fosse stata avvicinata da lui o da qualche lato uomo nelle settimane precedenti la sua sparizione. “Se fosse successo qualcosa di preoccupante lo avrei saputo”, ha spiegato in aula. Keba ha anche riconosciuto il cellulare che usava la sorella ed era appartenuto in precedenza al padre. “Yara non aveva un diario personale, solo quello di scuola che io leggevo per controllare che facesse i compiti”, ha aggiunto sottolineando che il pc di casa lo utilizzava solo per comunicare con alcuni ragazzi conosciuti durante uno scambio con la scuola. Dopo di lei testimonieranno l’uomo che ha trovato il corpo della 13enne in un campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio 2011 e la compagna di ginnastica che la sera della sua scomparsa la vide in palestra.

Dopo aver ritrovato il cadavere di Yara in mezzo ad un campo a Chignolo d’Isola (Bergamo) il 26 febbraio 2011 “ho visto un uomo che aveva parcheggiato la macchina vicino ad una stradina all’inizio del campo. Era un uomo di circa 55 anni e indossava un giubbetto del tipo che usano i pensionati”. Lo ha ricordato Ilario Scotti, l’aeromodellista di Bonate di Sotto (Bergamo) che ha ritrovato il corpo della ragazzina scomparsa il 26 novembre 2010 da Brembate. “Il signore era poco più alto della sua utilitaria – ha aggiunto – ed è salito su un panettone di cemento che delimitava il campo. Ha guardato nella mia direzione per circa 10 minuti, poi ha preso al macchina ed è andato via”.

Scotti ha anche ricostruito come ha trovato il corpo della ragazzina scomparsa. “Ho lanciato il mio aeromodello ma avevo il vento contrario e il mio apparecchio ha fatto una lunga virata verso destra” per poi precipitare a circa 200 metri dall’inizio del campo. A qual punto Scotti si è addentrato sul terreno “incolto, pieno di erbacce e di rovi” e ha cercato di recuperare il suo modellino. “Quando l’ho preso, mi sono girato e due o tre metri ho visto quello che a prima vista mi è sembrato un mucchio di stracci. Poteva esserlo, ma non lo era. Era un corpo”, ha spiegato. A quel punto ha chiamato il 113 e ha atteso l’arrivo della polizia, senza allontanarsi troppo per timore di perdere di vista la posizione dove si trovava il cadavere di Yara. “La vegetazione era alta tutto intorno al corpo – ha concluso – già un metro più in là e non lo si vedeva più”.

Scotti ha ricordato che l’uomo, “che era calvo”, si “è allontanato quando hanno iniziato a sentirsi le sirene”. Poco prima Scotti aveva spiegato che quando aveva chiamato il 113, gli era stato chiesto di descrivere il corpo che aveva appena trovato. “Mi hanno chiesto: di che colore ha le scarpe? Nere, ho risposto. E il giubbotto? Nero. Ha una sciarpa? Sì, marrone”. A quel punto, ha spiegato L’impiegato con la passione per gli aeromodelli, “mi hanno detto di non muovermi da lì che sarebbero arrivati subito”.

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