Alcuni dei nomi famosi coinvolti nel nuovo scandalo fiscale, a un anno dai Panama Papers
I cantanti Bono e Madonna, la Regina Elisabetta II, il ministro del Commercio di Donald Trump, Wilbur Ross, il finanziere George Soros sono alcuni dei nomi famosi che compaiono nella nuova lista 'nera' dei paradisi off-shore. Oltre 13,4 milioni di documenti riservati che compongono il cosiddetto Paradise Papers, ottenuti dal tedesco Suddeutsche Zeitung e condivisi dal Consorzio internazionale di giornalismo investigativo che include testate come il Guardian, la Bbc, il New York Times e il gruppo italiano L'Espresso. I file provengono da due studi internazionali di professionisti che gestiscono società off-shore, Appleby che ha sede nelle Bermuda e Asiacity Trust, con sede centrale a Singapore.
Il nuovo scandalo finanziario, a un anno dai Panama Papers, si chiama Paradise Papers. Tra gli oltre 13mila file, su soldi portati all'estero, scrive la Bbc, ci sono anche i documenti che dimostrano che circa 10 milioni di sterline, 13 milioni di euro, di fondi privati della Regina Elisabetta II sono stati investiti in paradisi fiscali. Si tratta di soldi investiti in un fondo off-shore, alle isole Cayman, sinonimo di paradiso fiscale che garantisce l'anonimato oltre all'assenza di tasse, e alle Bermuda dal Ducato di Lancaster, insieme al Ducato di Cornovaglia dell'erede al trono, una delle maggiori proprietà immobiliari e terriere d'Inghilterra. La Bbc sottolinea come non ci sia nulla di illegale nell'investimento e che non sia stato trovato alcun elemento che lasci intendere che la regina Elisabetta II non paghi le tasse.
Da quanto emerge, il ministro del Commercio americano, Wilbur Ross, trae profitto dai legami d'affari con il cerchio magico del presidente russo Vladimir Putin. Come riporta la Bbc, il ministro americano risulta infatti titolare di partecipazioni in un'azienda di trasporti tra i cui proprietari compaiono il genero di Putin e un altro magnate russo, sanzionato dal dipartimento del tesoro statunitense proprio per i suoi legami con la cerchia di Putin. Da quanto emerge dai 13 milioni di documenti Ross avrebbe mantenuto le sue quote nell'azienda di trasporti Navigator Holdings Ltd, una società offshore creata nelle isole Marshall nell'Oceano Pacifico, di cui è stato anche presidente.
OXFAM: ABUSO SENZA FINE. "Se i governi hanno davvero intenzione di arginare l'infinita serie di scandali fiscali, dovranno iniziare ad anteporre gli interessi della maggioranza dei cittadini a quelli delle corporation e dei super ricchi". Così commenta Oxfam e rivela ulteriori dettagli su come aziende e individui sottraggano ai governi miliardi di dollari in entrate fiscali. "I Paradise Papers mettono in luce quanto inefficaci siano stati finora i tentativi dei nostri leader di mettere fine agli abusi fiscali. Alle severe parole di condanna hanno fatto seguito ad oggi solo riforme timide, indebolite dall'enorme pressione esercitata da multinazionali e paperoni sulla politica", – ha dichiarato Susana Ruiz, policy advisor di Oxfam sui dossier di fiscalità internazionale. "Gli abusi fiscali – ha continuato – alimentano povertà e disuguaglianza. Come anticipato da Icij, quando 120 politici di primo piano e giganti come Apple, Uber e Nike sono sospettati di eludere le tasse, a farne le spese sono i cittadini comuni, e soprattutto i più poveri. L'evasione ed elusione delle sole corporation, per esempio, costa ai paesi in via di sviluppo 100 miliardi di dollari l'anno. Un ammontare di denaro sufficiente per mandare a scuola 124 milioni di ragazzi e coprire le spese sanitarie indispensabili per salvare la vita a 6 milioni di bambini ogni anno." "In questo contesto, chiediamo ai governi di collaborare per porre fine ai paradisi fiscali, creando una blacklist a livello globale, corredata da forti misure difensive e sanzionatorie", aggiunge Ruiz. Ad oggi nella "lista nera" dell'Ocse figura un solo Paese, Trinidad e Tobago. Mentre il processo di blacklisting in corso nell'UE – a forte connotazione politica e senzascreening delle giurisdizioni europee più aggressive sotto il profilo fiscale – si svolge in totale segretezza, con l'amara prospettiva di un "esercizio a porte chiuse" che produrrà entro il 2017 una "lista nera" europea modesta o addirittura vuota. "Le informazioni sugli assetti e l'operatività paese-per-paese dei grandi colossi multinazionali dovrebbero essere rese pubbliche, per poter valutare se le corporation versano a tutti gli effetti la loro giusta quota di imposte in ciascuna giurisdizione in cui conducono le loro attività. – continua Ruiz – Allo stesso modo, le informazioni sulla titolarità effettiva di società, fondazioni e trust, dovrebbero essere rese pubbliche per prevenire la possibilità che individui facoltosi possano trasferire e gestire in forma anonima proventi di attività fraudolente."
In merito alla trasparenza societaria, però, una proposta ambiziosa avallata dal Parlamento europeo (country-by-country reporting pubblico) non trova ancora, purtroppo, il consenso degli Stati Membri dell'UE. E anche il processo di revisione della IV direttiva europea antiriciclaggio, vede prevalere da parte dei Paesi Membri dell'Unione posizioni conservative, poco propense alla piena trasparenza pubblica dei beneficiari effettivi di diverse forme di entità giuridiche. Oxfam ritiene inoltre fondamentale avviare un nuovo ciclo di riforme sulla fiscalità internazionale d'impresa che ridisegni il sistema nell'interesse della collettività e non solo di pochi. La richiesta di istituzione di un organismo inter-governativo sotto l'egida dell'ONU, che possa guidare un simile processo è tuttavia osteggiata dai governi dei Paesi economicamente avanzati. "Rispetto a quanto emerso dai Paradise Papers – conclude Ruiz – chiediamo infine ai governi di avviare indagini pubbliche, con l'obiettivo di identificare misure di rafforzamento delle normative nazionali che possano prevenire pratiche diffuse di abuso fiscale".
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