Quel viaggio incredibile con un infarto in corso. Le famiglie ancora divise. Resta la sua grande musica
Sono passati già tre anni da quella notte in cui Pino Daniele perse la vita per un'insufficienza cardiaca (e dietro questa asciutta formula ci sono i ventisette anni di gravissimi problemi al cuore del cantautore, confermati anche dai medici incaricati dalla Procura che dispose l'autopsia su richiesta dei familiari). Le polemiche su questa morte improvvisa quanto controversa non mancarono e la seconda moglie del cantatore partenopeo, Fabiola Sciabbarrasi, dichiarò subito che "qualcosa deve essere andato storto, perché Pino stava molto male e la scelta di portarlo in auto in un ospedale lontano oltre 150 chilometri non me la spiego".
Dietro a queste parole c'era un'accusa abbastanza diretta all'ultima compagna del bluesman, Amanda Bonini, colpevole (secondo Sciabarrasi) di avergli quanto meno prestato soccorsi inadeguati: "Pino era svenuto, non avrebbe potuto decidere lui di andare a Roma", accusò la prima moglie; "Era lucido, ha detto lui di metterci in auto", replicò la seconda. Una doppia verità che segnò una distanza tra le due famiglie marcata poi dalle divisioni sui funerali, replicati a Napoli poche ore dopo Roma. Se quel viaggio dovesse essere evitato resta ancora oggi una valutazione soggettiva, in mancanza di una diagnosi medica diretta sul malore. Achille Gaspardone, il medico che ebbe in cura Pino Daniele per molti anni, dichiarò alla stampa che "Pino stava sufficientemente bene, mi disse che aveva un senso di malessere, ma non mi trasmise l'idea di una situazione grave". Malori simili c'erano già stati in passato e in anche in quei casi lui aveva sempre preferito farsi visitare di persona dal medico di fiducia. "Parlai sia con lui che con Amanda – spiegò Gaspardone – e gli consigliai comunque di chiamare l'ambulanza, che credo abbia chiamato e poi disdetto perché era piuttosto stabile e preferiva andare in un ambiente dove era conosciuto. Poi tutto è precipitato, come può succedere nei casi di ischemia miocardica".
Pino Daniele arrivò così nella capitale dopo oltre un'ora d'auto, quando era già morto. Si sarebbe potuto salvare con un intervento più tempestivo? Sempre in perenne movimento, sempre alla ricerca di stimoli, di idee, di obiettivi, Pino Daniele, al netto di tutte le polemiche, oggi non c'è più; restano dischi indimenticabili, canzoni immortali e duetti incredibili mischiando napoletano, italiano e inglese. Perché fin dal suo esordio con James Senese nei Napoli Centrale, Daniele ha mostrato la versatilità dei grandi artisti. Nel 1980 fece da apripista allo storico concerto di Bob Marley a San Siro, per poi suonare a Cuba, all'Olympia di Parigi, e dividere sale di registrazioni e palcoscenici con Chick Corea, Steve Gadd, Ritchie Havens, Wayne Shorter e Alphonso Johnson, pezzi pregiati dei Weather Report, Ramazzotti e Jovanotti, Mannoia, De Gregori e Ron, Pat Metheny, Pavarotti, Noa, Giorgia, Jim Kerr, Eric Clapton.
Nella storia della musica italiana è stato capace di portare una ventata nuova, unendo musica popolare e blues, grazie al disco Nero a metà (1980) che fece da traino ai capolavori precedenti fino ad allora scoperti solo da pochi, Terra mia e Pino Daniele. Una carriera fatta di sperimentazione, con incursioni nel jazz, world music e perfino richiami agli antichi madrigali. Se 'Napule è' rappresentava la sua dichiarazione di amore e frustrazione per la sua città, 'Quando', scritta per l'amico Massimo Troisi, era la canzone della riconciliazione. E a Napoli Pino Daniele è comunque tornato per l'ultimo saluto in piazza Plebiscito: la bara venne sistemata sull'altare, accanto ai gonfaloni listati a lutto, e la cerimonia funebre fu officiata dal cardinale Crescenzio Sepe. Migliaia i fan sotto la pioggia che urlarono in lacrime il suo nome.
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