Questa la previsione fatta a LaPresse dal giornalista e scrittore statunitense Alan Friedman
Donald Trump è un cafone che parla alla pancia del popolo e ricorda un mix tra Le Pen, Salvini e Grillo, ma arriverà alle presidenziali dell'8 novembre dove sfiderà Hillary Clinton, che potrebbe sconfiggerlo per un soffio. È la previsione a LaPresse di Alan Friedman, giornalista, scrittore ed economista statunitense, sulle elezioni americane dopo i risultati del Super martedì in cui il magnate newyorkese e la ex segretaria di Stato si sono imposti come i favoriti nella corsa alle nomination repubblicana e democratica. "Mi aspettavo che Clinton vincesse – dice Friedman – e lo prevedevo anche per Trump, ma in questo caso la mia valutazione è cambiata: prima del voto prevedevo il 99% di probabilità che arrivasse alla nomination, poi viste le vittorie di Ted Cruz e di Marco Rubio e visto il rigurgito dell'establishment repubblicana, ho ridotto quella percentuale al 75% o 80%".
Da dove nasce questo cambiamento nelle sue previsioni?
Ci sarà un tentativo molto forte di diversi repubblicani di contrastarlo e potrebbero cercare di eliminarlo alla convention: se Trump vi arriverà con la maggioranza dei delegati, ma non sufficiente alla vittoria al primo ballottaggio, dal secondo voto in avanti (quando i delegati sono svincolati dall'esito delle primarie, ndr) potranno verificarsi tentativi di raggruppare i voti contro di lui per avere un'alternativa. Ora cominceremo a vedere una serie di repubblicani moderati che si esprimeranno contro di lui. Il suo vantaggio più grande è che i tentativi di bloccarlo sono sporadici e poco coordinati, quindi alla fine probabilmente rimarrà vincente. L'unico modo di fermarlo, se escludiamo l'eventualità che cominci a perdere, sarà che gli altri candidati alla convention si uniscano per fermarlo. Do poche chance a questi tentativi, ma non va escluso.
Trump è stato sottovalutato?
L'establishment del partito lo aveva sottovalutato, come hanno fatto quasi tutti in America, e non era preparato alla sua vittoria. Trump è un tamarro, un cafone che usa un linguaggio squallido. Nessuno della politica mainstream sei mesi fa avrebbe immaginato che potesse attirare non solo la destra estrema, ma anche una fascia più larga della società. La sorpresa è che prima credevamo avesse appeal solo sui repubblicani non istruiti, più estremisti, invece comincia ad avere appeal anche su tanti americani frustrati, arrabbiati. Parla alla pancia del popolo, è un mix di Le Pen, Salvini e Grillo.
Che cosa li attira?
I fan di Trump sono gli xenofobi, sono quelli che lamentano le diseguaglianze economiche e sono arrabbiati. Trump, come i populisti e demagoghi in Europa, riesce a soffiare sul fuoco della paura della gente comune, che teme che gli immigrati rubino il lavoro, e che gli Usa di Obama siano troppo deboli. È una specie di Rambo che parla in modo volgare, ma i suoi semplicismi, il suo dire cose politicamente scorrette, gli danno un'immagine di leader forte. La realtà, secondo me, è che Trump sarebbe un disastro come presidente, per gli Stati Uniti e per il mondo.
Perché alla presidenza sarebbe un disastro?
La mia opinione è che non rappresenti i valori del mio Paese e la democrazia americana, ma un'America di odio, di razzismo e paura. Poi ci sono i motivi di merito: in politica estera manca di esperienza, è molto ruvido e antidiplomatico, in economia è un palazzinaro, non il grande imprenditore che dice di essere.
Fa più paura dentro o fuori gli Stati Uniti?
Fa paura sia fuori, sia dentro. La differenza è che all'interno del Paese c'è preoccupazione, all'esterno c'è incredulità.
Nella sfida democratica, cosa dobbiamo aspettarci?
Senza alcun dubbio Clinton sarà la candidata del partito democratico. Sanders resterà un elemento irritante, oppure la coscienza della sinistra che cerca di contrastare Clinton per i forti legami con Wall Street. Ma alla fine la vincitrice si chiama Clinton e lo sconfitto si chiama Sanders.
Perché tanta certezza?
È matematica. Clinton ha più di mille delegati, ha tanti superdelegati, ha una macchina da guerra a finanziarla. Sanders non ha sufficiente appeal nel partito, può prendere il 20%, a volte il 40% oppure vincere ancora qualche altro Stato, ma alla fine non ce la farà. Non è una vera gara. Anzi, a Clinton quasi conviene tenere Sanders in competizione per avere qualcuno da sfidare. Sanders comincia ad avere l'appeal di uno Stefano Fassina o poco più.
Se l'8 novembre si concretizzasse la sfida tra Clinton e Trump, come andrebbero le cose?
Molti dicono che la nomina di Trump sarebbe un regalo a Clinton, perché secondo la logica lei vincerebbe facilmente. Io dico: attenzione, fino a oggi la logica su Trump non ha funzionato. C'è la possibilità che Clinton arrivi a vincere con un margine stretto, anche di solo 1%-3% di vantaggio. Ma credo che ce la farà e che sarà la prossima presidente degli Stati Uniti.
Da dove deriverebbe un margine così stretto?
Nell'immaginare una gara Clinton-Trump bisogna ricordare un fattore tutto americano, cioè il disapproval rating (la misura della disapprovazione, ndr) nei sondaggi. Nel Gop, Trump ha il dato maggiore, ma allo stesso modo ce l'ha Clinton nel partito democratico con il 58%, perché molti americani la definiscono non affidabile, opportunista o cinica. Un corsa Clinton-Trump vedrebbe lui tirar fuori tutti i panni sporchi di Clinton, per primo l'accusa che sia colpa sua se l'Isis è entrato in Libia e se questo è diventato uno Stato fallito, perché nel marzo 2011 lei appoggiò Sarkozy nel tentativo di abbattere Gheddafi.
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