Uno studio del Wwf - commissionato al think tank 'Ecco' - mette un punto su questa tecnologia
La cattura e lo stoccaggio della CO2 non è un’opzione per la decarbonizzazione. E, tra l’altro, la sua “incidenza è irrisoria”. Uno studio del Wwf – commissionato al think tank ‘Ecco’ – mette un punto su questa tecnologia: “La cattura e lo stoccaggio del carbonio (ccs-ccus) non è un’opzione significativa nella strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici e in quella del processo di decarbonizzazione che deve rispettare le quantità e i tempi richiesti dall’accordo di Parigi”. Non solo. Secondo il documento “i progetti di cattura e stoccaggio del carbonio realizzati fino ad oggi in Italia e all’estero non hanno dato risultati rilevanti”.
Il rapporto – ‘Ambiguità, rischi e illusione della Ccs-Ccus. Criticità connesse allo sviluppo in Italia di una tecnologia più rischiosa che utile’ – mette in evidenza come la Carbon capture usage and storage, cioè “la cattura e lo stoccaggio del carbonio”, abbia “un’incidenza irrisoria rispetto al fabbisogno di riduzione delle emissioni e oggi i progetti realizzati in Italia e all’estero mostrano la sua inefficienza anche economica”.
La cattura della CO2 ha raggiunto “una capacità di circa 40 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, corrispondente allo 0,1% di tutta la CO2 emessa a livello mondiale nel 2019. Per ora il settore della cattura e stoccaggio tecnologici di CO2 è scarsamente rilevante malgrado la ricerca e i finanziamenti spesi. Nemmeno dopo aver ricevuto sussidi pubblici considerevoli la relativa filiera si è attivata in modo promettente, ed è inopportuno indirizzarvi nuove risorse pubbliche”. Il rischio è che si provi a tenere “in vita le filiere delle fossili compensando in maniera poco significativa le emissioni-serra”. In questo senso – spiega il Wwf – “più che un’opzione per la decarbonizzazione”, la cattura e stoccaggio della CO2 rappresenta “un’estensione delle attività dell’industria fossile con la prospettiva di procrastinare il decommissioning di impianti della propria filiera, e con esso le bonifiche relative”. Quindi “non regge il confronto rispetto alle soluzioni di decarbonizzazione attraverso l’annullamento delle emissioni, anche a causa delle incertezze, dei rischi e dei costi che sposta sulle generazioni successive”. Per esempio, “riguardo allo stoccaggio geologico della CO2, disastri come quelli di Trecate e della Deepwater horizon mostrano che non è sufficiente la stabilità geologica”.
Il documento – che contempla poi anche un focus specifico sull’Italia – evidenzia in dettaglio “le maggiori criticità connesse all’opzione di decarbonizzazione legata a progetti di Ccus quali quello di Eni a Ravenna: potenziali inadeguati, costi esorbitanti, rischi di difficile gestione”. Infine, viene messo in evidenza “un limite strategico enorme: la sua inter-dipendenza dall’industria petrolifera, soprattutto rispetto allo stoccaggio della CO2”.
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