É la sintesi, decisamente a chiaroscuri, del cammino "green" dell'Italia fornita dal terzo Rapporto di Circonomia
Primi in economia circolare, maglia nera nella transizione verso un’energia pulita libera dai combustibili fossili e amica del clima. É la sintesi, decisamente a chiaroscuri, del cammino “green” dell’Italia fornita dal terzo Rapporto di Circonomia, il Festival dell’economia circolare e della transizione ecologica in corso ad Alba, promosso in collaborazione con Legambiente, Kyoto Club, Fondazione Symbola. Il Rapporto mette a confronto le performance italiane con quelle di tutti gli altri Paesi europei. Sarà presentato il 22 settembre in un evento dal titolo “L’energia in transizione”: moderati dal giornalista Rai Marco Frittella sono intervenuti tra gli altri il curatore del Rapporto Duccio Bianchi, il presidente di Elettricità Futura Agostino Re Rebaudengo, il direttore di Enel-Italia Nicola Lanzetta, il vicepresidente del Kyoto Club Francesco Ferrante, l’AD di Egea Pierpaolo Carini.
“Quest’anno Circonomia – così il direttore del Festival Roberto Della Seta – cade alla vigilia delle elezioni politiche. Coincidenza ovviamente casuale ma significativa: i temi affrontati nei tanti appuntamenti della rassegna, dalla transizione ecologica all’energia, sono sempre più centrali nel dibattito pubblico. Così, in particolare, per i contenuti del terzo Rapporto sul cammino ‘green’ dell’Italia, che fornisce una fotografia di grande interesse e spesso sorprendente, sui punti di forza e di debolezza della transizione italiana verso l’economia circolare e l’energia sostenibile. Questa settima edizione di Circonomia e questo terzo Rapporto giungono in un anno reso drammatico dalla guerra in Ucraina, alle porte dell’Europa, scatenata da Putin: guerra che rende ancora più vistosa l’urgenza in particolare per l’Europa di uscire dalla dipendenza dalle energie fossili che minaccia non solo la stabilità climatica ma la nostra libertà”.
Il terzo rapporto di Circonomia prende le mosse da questi due grafici che illustrano le due maggiori crisi contemporanee, entrambe globali ed entrambe con ricadute particolarmente rilevanti sull’Italia: una lunga e profondissima è la crisi climatica, l’altra istantanea ed acutissima è la crisi prodotta dall’impennata verticale dei prezzi del gas, cominciata nel 2021 e resa esplosiva dalla guerra russo-ucraina. Un nesso strettissimo lega tra loro gli scenari descritti nei due grafici. Lega, in particolare, la transizione energetica ed ecologica – sola risposta efficace alla crisi climatica, basata innanzitutto su una rapida decarbonizzazione dei sistemi energetici – alla possibilità concreta di fronteggiare o arginare le difficoltà nelle quali si dibatte da anni l’economia italiana ed europea, ulteriormente amplificate dalla “guerra energetica” tra Russia ed Europa.
Ma che posto ha l’Italia in Europa, quale la sua posizione in un ipotetico ranking europeo, rispetto a alle sfide dell’economia circolare e della transizione energetica? Queste per punti le risposte che vengono dal terzo Rapporto Circonomia, misurate su dati concreti. L’Italia si conferma leader in Europa quanto a circolarità ed efficienza d’uso delle risorse: è la migliore tra i 27 Paesi dell’Unione nell’indice di circolarità costruito su 17 diversi indicatori, prima per consumo interno di materia procapite e percentuale di riciclo sul totale dei rifiuti, più avanti degli altri grandi Paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Polonia) per energia consumata/unità di Pil e consumo di materia/unità di Pil. Questo primato accomuna, complessivamente, tutte le aree del Paese, in particolare vede come assolute eccellenze europee sia la macroregione del Nord sia quella del Centro. I dati del Rapporto mostrano un rilevante ritardo del Sud nella transizione ecologica: le regioni meridionali ottengono anch’esse un brillante risultato complessivo, ma dovuto prevalentemente a bassi livelli dei consumi, e della conseguente pressione sulle risorse naturali. Insomma, nel Sud dell’Italia l’impatto moderato delle attività umane sull’ambiente è frutto più di arretratezza economica che di efficienza nell’uso delle risorse.
Le buone performance italiane nell’economia circolare sono decisamente contraddette da un dato negativo: negli ultimi anni la transizione ecologica dell’Italia ha segnato il passo. Lo stallo tocca la sua massima espressione nei numeri sulla transizione energetica verso la decarbonizzazione, e soprattutto in quelli che mostrano l’arresto pressoché totale nello sviluppo delle nuove energie rinnovabili, in particolare solare ed eolico: in Italia non crescono più dal 2015 (solo recentemente si sono manifestati segni di un’iniziale ripresa), in controtendenza rispetto a buona parte d’Europa e malgrado la progressiva e significativa riduzione dei costi di produzione dell’energia sia solare che eolica. La nuova potenza elettrica rinnovabile installata in Italia tra il 2016 e il 2020 è stata pari a circa un terzo della media procapite europea (72 W/ab contro 201) e a quella della gran parte dei Paesi dell’Unione (nei Paesi Bassi il dato è 9 volte quello dell’Italia); nel periodo 2015-2019 (escludendo il 2020, anno largamente condizionato dall’emergenza Covid) la quota di rinnovabili nella produzione elettrica italiana è cresciuta solo di 0,7 punti, a fronte dei 2,1 della media UE e di valori superiori in tutti gli altri grandi Paesi europei, mentre nel settore termico la crescita è stata pari a 0,4 punti percentuali contro i 2,1 della media europea. Ciò avviene a causa, soprattutto, di una vera e propria barriera alla eco-innovazione rappresentata dalla lentezza e farraginosità dei meccanismi burocratici relativi agli iter autorizzativi, spesso ingigantita nelle sue conseguenze negative dall’azione di gruppi e comitati che si oppongono alle energie rinnovabili utilizzando pretestuosamente argomenti “ambientalisti”, generalmente la difesa del paesaggio.
Una generale perdita di velocità si registra anche nei processi di miglioramento dell’efficienza energetica, parametro nel quale l’Italia in Europa tradizionalmente ha primeggiato: nel 2000 eravamo il Paese con la migliore produttività energetica d’Europa, oggi siamo quarti, mentre il nostro vantaggio percentuale rispetto alla media europea è sceso dal 28% al 19%. Da segnalare che mancano, a oggi, dati significativi sugli effetti del “superbonus” 110% quanto ad efficientamento dei consumi energetici residenziali.
In tema di energia, l’Italia è in grande affanno anche nei rimi di penetrazione della mobilità elettrica: siamo tredicesimi nell’Unione Europea (compreso il Regno Unito) per immatricolazioni di auto elettriche (4,6% nel 2021, media Ue 10,3%), abbiamo meno di 50 punti pubblici di ricarica per veicoli elettrici su 100 mila abitanti contro una media Ue di 73.
L’eccellenza italiana nell’economia circolare è “reattiva”, non “strategica”. Le buone prestazioni italiane in termini di consumo di materia, consumi energetici, tassi di riciclo dei rifiuti, dipendono in parte da “eredità” – siamo un Paese povero di materie prime e dunque abituatosi nel tempo a “fare molto con poco” – e in parte riflettono scelte virtuose compiute dagli attori economici e anche, in alcuni casi, efficaci politiche pubbliche. Si tratta però – come evidenzia la correlazione tra prezzi energetici e efficienza energetica o tra livello di incentivi e installazione di rinnovabili – di prestazioni di tipo “reattivo”, che colgono nel minore consumo di materia e di energia e nel maggiore ricorso a materie seconde un fattore di competitività del sistema. Ciò che manca – manca in misura crescente – è un approccio “strategico” del sistema-Paese, sinergico tra decisori pubblici e privati, finalizzato a qualificare sempre di più l’economia italiana nel senso della circolarità e della sostenibilità ambientale.
Tra le prove principali di questa mancanza di visione strategica vi è la consolidata debolezza italiana in fatto di capacità di innovazione tecnologica verde. Nel periodo 2008-2018, la quota di brevetti italiani nell’area “ambiente e cambiamento climatico” è rimasta stabile intorno all’1,8% sul totale dei Paesi dell’Ocse: ciò significa che il totale dei brevetti italiani nel decennio considerato è stato inferiore a quello della Danimarca, sostanzialmente identico a quello dell’Olanda, pari al 33% di quello della Francia e al 13% di quello della Germania.
Al “primato” italiano in fatto di efficienza d’uso delle risorse e di circolarità dell’economia fanno da contraltare performance decisamente negative su fronti altrettanto strategici in tema di modernizzazione socio-economica: tasso di povertà, giovani senza lavoro né istruzione (23% dei giovani tra 15 e 29 anni, la media Ue è circa 13), ritardo nella trasformazione digitale (siamo ventesimi tra i 27 Paesi Ue). Arretratezze che rischiano di compromettere lo stesso cammino della transizione ecologica.
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