Tra un mese si saprà chi prenderà il suo posto, nel frattempo la sensazione che il remix sia più invasivo di quanto appaia è abbastanza esondante

Non ci fosse stata la vittoria sul Napoli, l'ennesima di una lunga serie, l'addio di Giuseppe Marotta detto Beppe sarebbe stato assai più rumoroso. Ma anche così – con quel "le nostre strade si separano" attutito dagli echi del trionfo – l'impatto e il rimbalzo sono abbastanza violenti.

Non che non si subodorasse, non che non si sussurrasse da tempo, non che gli spifferi raccontassero di una armonia turbata, ma l'ufficialità di un divorzio (per adesso solo dalla carica di ad), ancorché senza rottura di piatti e sbattimento di pentole sulla pubblica piazza, resta sempre un elemento traumatico. Tra un mese si saprà chi prenderà il posto di Marotta nel consiglio di amministrazione della Juventus e come amministratore delegato, nel frattempo la sensazione che il remix sia più invasivo di quanto appaia è abbastanza esondante.

Marotta è stato portato alla Juventus da John Elkann e con il gran capo di Fca si è spesso rapportato. Non per mancanza di feeling con Andrea Agnelli ma per un legame nato prima con il nipote prediletto dell'Avvocato. Marotta ha fatto cose ottime e cose meno buone, da Martinez e Krasic fino a Barzagli, Pirlo, Pogba, Dybala e Higuain. Non Ronaldo, però, e proprio intorno all'operazione faraonica di CR7 probabilmente si è avvitata una divergenza di vedute profonda e irricomponibile.

Marotta ha avuto il merito di portare con sé Fabio Paratici, che è il diesse più bravo d'Italia e uno dei più bravi d'Europa. Un merito non da poco. Colpisce immaginare uno senza l'altro. E viceversa. Marotta è un aziendalista e per questa sua vocazione padronale si è trovato ad accettare situazioni che non condivideva. Ma tutto ha un inizio e tutto ha una fine. Dopo otto anni vissuti in maniera travolgente, qualcuno ha voluto mettere un punto e andare a capo. Non Marotta, però, anche se è stato lui in una sera di fine settembre a urlare il 'Signori, si scende'.

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