L'ex calciatore brasiliano scrive una lettera aperta: "Non è facile essere una promessa rimasta incompiuta"
Una lettera aperta scioccante e drammatica, piena di verità scomode, dolori e sensi di colpa che tratteggiano un uomo diventato campione e poi, a luci non ancora spente e con ancora tanto talento da mostrare, finito nel baratro della dipendenza dall’alcol. Ha colpito il cuore di tutti i suoi fans lo sfogo – che suona come un grido di aiuto – dell’ex calciatore brasiliano Adriano Leite Ribeiro, meglio conosciuto in Europa come l’Imperatore, che a 42 anni ammette di continuare la sua battaglia contro l’alcolismo. “Il più grande spreco del calcio sono io. Mi piace quella parola, spreco. Non solo per come suona, ma perché sono ossessionato dall’idea di sprecare la mia vita”, ha raccontato Adriano senza ricorrere ad eufemismi pochi giorni dopo un video che ha fatto il giro del web in cui viene immortalato in compagnia di alcuni amici mentre beveva alcolici per le vie della sua favela.
Parla di ‘spreco frenetico’ in questa esplosione di emozioni pubblicata su ‘The Players Tribune’ intitolata “Una lettera alla mia Favela”, in cui, a otto anni dal suo addio al pallone, ha descritto con un realismo sferzante di come è la sua vita a Vila Cruzeiro, di quanto sia difficile affrontare la morte di suo padre e il peso di essere una ‘promessa non mantenuta’. L’ex giocatore di Inter e Roma, Flamengo e Corinthians ha spiegato perché ha scelto di vivere nella favela e di come conduce le sue giornate: “Bevo a giorni alterni, sì. E anche gli altri giorni. Come fa uno come me ad arrivare al punto di bere quasi tutti i giorni? Non mi piace dare spiegazioni agli altri. Ma eccone una. Perché non è facile essere una promessa rimasta incompiuta. Soprattutto alla mia età”, ha detto l’Imperatore decaduto (“E non ho ancora capito perchè mi chiamassero così in Europa”). Nella lettera Adriano ha soprattutto sottolineato l’importanza di suo padre e come abbia segnato un prima e un dopo nella vita familiare quando l’uomo venne colpito alla fronte, a seguito di un proiettile vagante, durante una festa a Cruzeiro.
“Da allora, la vita della mia famiglia non è più stata la stessa. Mio padre ha iniziato ad avere frequenti attacchi epilettici. Hai mai visto una persona che ha avuto un attacco epilettico di fronte a te? Non vuoi guardarlo, fratello. È spaventoso”, ha confessato. La morte del padre (Almir Leite Ribeiro, detto Mirinho) avvenne nel 2004, dopo che Adriano divenne campione della Copa América con il Brasile. Venti anni dopo, l’ex calciatore non riesce a farsene una ragione: “La morte di mio padre ha cambiato la mia vita per sempre. Ad oggi è un problema che non sono ancora riuscito a risolvere”. Accompagnato da immagini fotografiche che catturano diversi momenti della sua vita a Vila Cruzeiro, Adriano ha spiegato perché ha scelto di vivere in quella favela. “Quando sono scappato dall’Inter e ho lasciato l’Italia, sono venuto a nascondermi qui. Ho visitato l’intero complesso per tre giorni. Nessuno mi ha trovato. Non c’è modo”, ha detto.
Fuori da tutto, dal mondo e da quei riflettori diventati per lui troppo abbacinanti per un’anima scura che chiedeva solo di riposarsi dal dolore. “Non ne potevo più, di dover prestare sempre attenzione alle telecamere ogni volta che uscivo in Italia, a chiunque incrociasse la mia strada, che fosse un giornalista, un truffatore, o qualsiasi altro figlio di puttana. L’ho fatto perché non stavo bene. Avevo bisogno dei miei spazi per fare quello che volevo fare”, ha detto.Adriano ha argomentato perché Villa Cruzeiro è il suo ‘luogo’ di appartenenza. “Vedo mio padre in ognuno di questi vicoli. Cosa voglio di più? Qui sono veramente rispettato, qui c’è la mia storia e ho imparato cos’è la comunità”. Perché Vila Cruzeiro non è il posto migliore del mondo “ma è il mio posto”. Di una ex stella che ha scelto di vivere a modo suo, tenendosi stretto il dolore di una vita consumata da alcol e una buna dose di rimorsi
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata