L'ex portiere si racconta al Corriere della Sera in occasione dell'uscita della sua autobiografia

Gianluigi Buffon si racconta in una lunga intervista al Corriere della Sera in occasione dell’uscita della sua autobiografia: “Cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi”, in uscita oggiTanti i temi affrontati dall’ex numero uno della Nazionale Campione del Mondo del 2006 che ha parlato soprattutto della depressione e del vizio delle scommesse. 

Non ho mai scommesso sul nostro sport

“Per qualcuno è un vizio. Per me era adrenalina. Di una cosa sono certo: non ho mai fatto nulla di illegale”, ha detto l’ex capitano della Juventus parlando delle scommesse, che considera una sua debolezza: “Lo è stata, fino a quando non ho trovato il mio centro”. E prosegue: “Non sono mai stato indagato, non ho mai ricevuto un avviso di garanzia. Perché non ho mai scommesso sulla Juve o sulla Nazionale o sul calcio. Ho sempre e solo scommesso sul basket americano e sul tennis. Ora al massimo vado due o tre volte l’anno al casinò. Ma non ne sento il bisogno”.

 
 
 
 
 
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Il caso è scoppiato due volte, racconta Buffon: “La prima nel 2006, al tempo di Calciopoli, quando nel mirino c’era la Juve. Ero a Coverciano, solita stanza 209, ritiro premondiale. Venne da me il nostro dirigente accompagnatore, con cui avevo un rapporto speciale, Gigi Riva: ‘Se hai fatto qualche cazzata, dimmelo’. Risposi, con una punta di sadismo: ‘Gigi, mi conosci. Quindi conosci già la risposta’. Qualche giorno dopo venne a dirmi: ‘Ho preso la mie informazioni. Avevi ragione tu'”, si legge ancora nell’intervista.

“Era il 2012, prima dell’Europeo – racconta riguardo la seconda volta – Dormivo beatamente nella stanza 209, quando arrivò la polizia. Nel ritiro della Nazionale, alle 5 del mattino, con le telecamere fuori: i giornalisti erano stati avvertiti. Erano lì per Criscito. Lo trovai ingiusto, e lo dissi. Criscito non ebbe un giorno di squalifica; intanto però perse l’Europeo. Io fui convocato in procura. Ero talmente sicuro di non aver fatto nulla che andai da solo, senza l’avvocato. E ci rimasi male nel vedermi torchiato. Sempre con le stesse domande. Alle quali ho sempre dato le stesse risposte. La verità: non ho mai scommesso sul calcio”. 

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La depressione e l’attacco di panico

Buffon racconta anche del suo periodo caratterizzato dalla depressione. “Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli. Eravamo reduci da due scudetti di fila: dopo l’up, il down. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio”, ha spiegato il team manager azzurro che racconta in particolare di un attacco di panico durante Juve-Reggina: “Sentivo una pressione al petto, non riuscivo a respirare, pensai che non avrei mai voluto essere lì e non avrei mai potuto giocare la partita – dice al Corriere – Andai dall’allenatore dei portieri, che era un grande: Ivano Bordon. Lui mi tranquillizzò: “Gigi, non devi giocare per forza”. Ripresi fiato”. E prosegue: “Mi dissi: Gigi, se tu non entri in campo stavolta, crei un precedente con te stesso. Magari ti succederà una seconda volta, e poi un’altra ancora. E non potrai più giocare. Così entrai in campo. Feci subito una buona parata. Che salvò il risultato, perché poi vincemmo 1-0. Ma il problema rimaneva”.

Il rifiuto dei farmaci e l’interesse per l’arte

Buffon nell’intervista spiega di aver rifiutato i farmaci e di aver cominciato a coltivare altri interessi: “Fu allora che scoprii la pittura. Andai alla Galleria d’arte moderna di Torino – si legge – C’era una mostra di Chagall. Presi l’audioguida. Davanti alla Passeggiata rimasi bloccato per un’ora. È un quadro semplice, raffigura Chagall con la moglie Bella mano nella mano; solo che lei vola. Il giorno dopo, tornai. La cassiera mi disse: guardi Buffon che è la stessa mostra di ieri. Risposi: grazie, lo so, ma voglio rivederla”. 

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