Sull’Italia sventola bandiera gialla, ci lasciamo per ora alle spalle le misure più severe da zona rossa o arancione e passiamo da uno stato di emergenza prevalente ad uno stato di incertezza diffusa. Tra color che son sospesi, non all’inferno ma tantomeno in paradiso, condannati ad una crisi che tutto ammanta, dalle prospettive di governo, alle speranze vaccinali, giù fino alle regole elementari che disciplinano il nostro quotidiano.
Il rompete le righe e gli assembramenti a scoppio anticipato del fine settimana stanno a dimostrare che nel Paese regna la più generale confusione, alimentata certo dall’esasperazione di un ormai lungo regime a libertà limitate, ma altrettanto certamente generata da una tabella di marcia schizofrenica, nebulosa quando non contraddittoria. Se l’Ignorantia legis non excusat, il popolo inteso come comunità nazionale non può essere chiamato a risolvere un’enigmistica permanente sulle regole della vita di tutti i giorni.
Entro martedì sera sapremo quale compromesso verrà trovato per risolvere la crisi più pazza (e inopportuna) del mondo, tra punti dirimenti di un programma da definire, veti incrociati, e incognite varie su nodi e nomi. Sapremo se a governare sarà un Conte dimezzato o una figura istituzionale, se l’ago della bilancia saranno effettivamente i renziani o i centristi Europeisti, se l’M5S manterrà le sue rigidità identitarie – leggi Mes e Reddito di Cittadinanza – e se sacrificherà con Bonafede i suoi nomi di peso. Sapremo infine se sull’Economia la difesa dem di Gualtieri è solo di facciata o di sostanza. I temi sul tavolo sono molto seri e concreti, fra l’impiego dei miliardi del Recovery Fund, l’amministrazione del bistrattato sistema scolastico, i cantieri chiusi, la perdita di 440 mila posti di lavoro ed i piani di salvataggio di comparti essenziali per l’economia italiana come il turismo e la ristorazione, se non la cultura nei musei e nei teatri. La discussione però sembra vertere sempre su altro , nell’esercizio di un braccio di ferro intorno alle esigue sostanze di un moribondo, dove al capezzale gli aiuti della zia Europa rischiano di arrivare postumi. Un Paese malconcio insomma, che non ha nemmeno diritto alla speranza di una somministrazione vaccinale (la cui efficacia è oltretutto materia di scienza inesatta).
Anche qui lo stato di confusione è totale. Di certo per ora pare esserci solo l’allestimento dei gazebo a forma di primula voluti dal Commissario straordinario Domenico Arcuri. Costo 8 milioni e 400 mila euro, bando per l’allestimento inizialmente fissato il 27 gennaio con 1 settimana di scadenza, poi prorogato – bontà loro – al 3 febbraio. L’organizzazione di questi centri, che dovrebbero fare da volano alla vaccinazione di massa, è disseminata di punti interrogativi e stracolma di critiche sollevate da aziende di settore e addetti ai lavori. Più attenzione alla forma che alla sostanza, sintetizziamo con eufemismo. Tempistiche irrealizzabili e massiccio investimento di soldi pubblici che sarebbe stato doveroso contenere – dicono i detrattori – con l’utilizzo di spazi e strutture già a disposizione di aziende sanitarie e comuni, dalle caserme, alle palestre a padiglioni fieristici.
Caos anche sul piano delle priorità di somministrazione per categorie e anagrafe, aggravato dal dimezzamento delle forniture da parte dei colossi farmaceutici. Così Astra Zeneca non sarà sufficiente a vaccinare i lavoratori dei servizi essenziali, dai militari alle forze dell’ordine agli insegnanti, com’era stato previsto. Oltretutto la tipologia di farmaco non sarebbe indicata, secondo il giudizio dell’Aifa, agli over 55. A questi dovrebbero essere dedicati i vaccini di Pfitzer e Moderna, che però era stato stabilito venissero indirizzati al personale medico in primis. E gli over 80 già falcidiati da un anno di virus? Si attende la quadratura del cerchio in alternativa a soluzioni efficaci più che creative. D’altro canto, fu un padre costituente a sentenziare come solo quando il caso è disperato, la provvidenza è più vicina.