Viaggio nella cittadina della bassa lombarda dove il 21 febbraio 2020 l'Italia scoprì il suo primo caso di Covid
(LaPresse) Sono passati 12 mesi da quel 21 febbraio del 2020, il giorno in cui l’Italia ha scoperto il suo primo caso di coronavirus. All’improvviso gli occhi dell’intera nazione si posano su Codogno, comune della bassa lombarda con poco più di 15mila abitanti nonché cittadina di Mattia Maestri, il manager 38enne primo paziente italiano certificato positivo al Covid 19. In poche ore la vita della cittadina del lodigiano viene stravolta: l’ospedale preso d’assalto dalla stampa, il pronto soccorso prima sigillato poi chiuso, il sindaco che interviene facendo abbassare le saracinesche a bar e ristoranti, il governo che invia l’esercito per creare un cordone di sicurezza attorno alla città. Codogno diventa zona rossa, nessuno esce, nessuno entra e in meno di 72 ore il piccolo comune del lodigiano si trasforma nella Wuhan d’Italia.
Trecentosessantacinque giorni dopo, con un bilancio di oltre seicento vittime, la paura è ancora palpabile tra i cittadini di questa comunità diventata simbolo della lotta alla pandemia. “Dopo quello che abbiamo vissuto penso sia normale, c’è paura e preoccupazione ma c’è anche tanto coraggio. Questa comunità ha fatto cose straordinare e penso che alla fine il coraggio ha prevalso sulla paura”, dichiara il sindaco Francesco Passerini le cui parole fanno eco a quelle di tanti concittadini ancora scossi da un nemico invisibile che ancora non riusciamo a sconfiggere.
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