Per il momento, però, per essere vaccinati magistrati, cancellieri e personale dovranno aspettare il loro turno su base anagrafica
Misure chiare, stabilite dal governo, per limitare gli accessi ai tribunali di fronte alla nuova ondata della pandemia. E soprattutto condizioni di lavoro sicure per il personale della Giustizia ma che non facciano inceppare i processi. È questo lo spirito con cui i magistrati affrontano il nuovo picco dei contagi, tra la necessità di spostare in rete il maggior numero di attività possibile e il desiderio di fare il vaccino, appena si potrà. Un tema sul quale l’Associazione nazionale magistrati è intervenuta con decisione, paventando un rallentamento delle udienze se l’attività dei magistrati non potesse svolgersi in piena sicurezza.
L’Anm, infatti, con una nota ha esteso il suo invito ai “dirigenti degli uffici giudiziari, con la sollecitudine che la gravità del momento richiede, ad adottare, a tutela della salute, energiche misure organizzative al fine di rallentare immediatamente tutte le attività dei rispettivi uffici. Senza escludere, nei casi più estremi, anche la sospensione dell’attività giudiziaria non urgente.
Per il momento, però, per essere vaccinati magistrati, cancellieri e personale del sistema giustizia dovranno aspettare il loro turno su base anagrafica, come tutte le altre categorie professionali. Una decisione che, secondo indiscrezioni, sarebbe già stata al centro di un colloquio del 18 marzo scorso tra i vertici dell’Anm e il ministro Marta Cartabia, suscitando però il malcontento del sindacato delle toghe.
Dopo una fiammata iniziale seguita da una marea di polemiche e proteste anti-casta, la giunta esecutiva dell’Anm ha aggiustato il tiro. “Nessuna minaccia di sospensione dell’attività giudiziaria. L’Associazione nazionale magistrati non sospende nulla, non ne ha il potere, non ha mai pensato di farlo”, ha fatto presente il presidente Giuseppe Santalucia chiarendo di aver solo voluto accendere i riflettori su un problema serio, che rischia di inceppare la macchina della Giustizia.
“Quella nota non era una richiesta di vaccinazione prioritaria della corporazione dei magistrati – sottolinea -. Abbiamo detto che in un periodo in cui si chiude l’Italia va considerato che l’udienza è un luogo di esposizione a rischio. Salutiamo con favore la notizia della proroga dell’attività emergenziale ma può non essere del tutto soddisfacente. Ci sono settori di attività giudiziaria che continuano in presenza fisica, in situazioni logistiche non adeguate”.
Nel frattempo, l’invito a riorganizzare gli uffici giudiziari in modo da limitare al massimo i contagi è stata accolta dai presidenti di diversi tribunali italiani, primo tra tutti da Roberto Bichi, al vertice di quello di Milano. Un’iniziativa, lamentano sia il procuratore Francesco Greco che il vicepresidente vicario Fabio Roia, che non sarebbe dovuta essere frutto di una “auto organizzazione degli uffici giudiziari”, ma definita con un decreto legge da parte del governo com’è avvenuto lo scorso anno durante il primo lockdown. Di certo, come chiarisce l’ex presidente dell’Anm Luca Poniz, c’è che “i magistrati sono l’unica categoria che in caso di malattia non può essere sostituita. Se l’attività di un magistrato salta questo ha un effetto a catena su tutto il sistema giudiziario che si blocca”. E che, come precisa il procuratore Greco, “a Milano il Tribunale è l’ufficio pubblico più frequentato dopo l’anagrafe”. Un luogo dove – come può ben testimoniare il giudice Roia, tra i primi ad ammalarsi nella prima ondata insieme alla moglie, anche lei giudice – il virus corre più che altrove. E da mettere in sicurezza non necessariamente con vaccinazioni a tappeto a tutti i lavoratori del comparto, ma anche e soprattutto con un’organizzazione più snella della giustizia e più spazio, dove si può, ad adempimenti e udienze in via telematica.
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