Dopo la chiusura dell'inchiesta emergono nuovi dettagli. Una ventina sotto accusa
L’istituzione della ‘zona rossa’ dal 27 febbraio 2020 in 10 comuni della Val Seriana e ad Alzano Lombardo e Nembro avrebbe risparmiato la vita a 4.148 persone morte di Covid. Lo scrive la Procura di Bergamo nell’avviso di chiusura indagini a carico di 19 persone, fra cui l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, e l’ex assessore lombardo alla Sanità Giulio Gallera.
Per gli inquirenti di Bergamo le responsabilità sarebbero del Cts nonostante “fosse a conoscenza del numero di casi (531) registrati sino a quel momento nella Regione Lombardia e del relativo incremento rispetto ai giorni precedenti, e nonostante avessero a disposizione tutti i dati per stabilire che in Lombardia si sarebbe raggiunto il numero di 1000 casi dopo solo 8 giorni dall’accertamento del primo caso e che quindi bisognasse tempestivamente estendere anche ad altre zone le misure di distanziamento sociale della zona rossa”.
Fra gli indagati per epidemia colposa in “cooperazione” con Conte e Fontana gli scienziati Silvio Brusaferro, Giuseppe Ippolito, Franco Locatelli, Francesco Maraglino, Giuseppe Ruocco, Andrea Urbani, Agostino Miozzo, Claudio D’Amario e Mauro Dionisio per aver valutato nella riunione del 26 febbraio 2020 “non sussistenti le condizioni per l’estensione ad ulteriori aree della Regione, ed in particolare ai comuni della Val Seriana, tra i quali i comuni di Alzano Lombardo e Nembro nonostante nel corso della predetta riunione avessero dato atto ‘dei casi positivi al coronavirus in Italia che provengono da aree della Regione Lombardia diverse dalla zona rossa’”.
Dirigenti mentirono a Gallera su tamponi e sanificazioni
Il Direttore generale e il Direttore sanitario dell’Asst Bergamo est, Francesco Locati e Roberto Cosentina, mentirono all’assessore alla Sanità lombardo, Giulio Gallera e al dg Welfare, Luigi Cajazzo, sulla situazione dentro l’ospedale di Alzano Lombardo nel febbraio 2020. È quanto afferma la Procura di Bergamo nella chiusura delle indagini dell’inchiesta sulla mancata istituzione di una zona rossa in Val Seriana nelle prime settimane della pandemia.
Secondo gli inquirenti sono tutte “circostanze rivelatesi false” quelle che “non appena avuto il sospetto e la successiva certezza della positività al tampone sono state immediatamente adottate le misure previste”, nonostante il Pronto Soccorso fosse stato solo parzialmente sanificato, che dalle prime due segnalazioni di casi Covid “a tutti i pazienti con sintomatologia respiratoria e anche a tutti i pazienti ricoverati indipendentemente dalla sintomatologia […] agli operatori sono stati fatti tamponi partendo dai contatti stretti sintomatici, poi a tutti i contatti stretti anche asintomatici e infine a tutto il personale presente” erano stati fatti i tamponi.
E infine “non è rispondente al vero” che nella breve chiusura del 23 febbraio dell’ospedale si fosse “provveduto alla sanificazione degli ambienti con l’adozione di tutte le misure previste dal protocollo vigente specifico per pulizia e sanificazione Covid-19”.
Gallera e dg Cajazzo provocarono diffusione virus
L’ex assessore alla Sanità di Regione Lombardia, Giulio Gallera, e il Dg Welfare Luigi Cajazzo avrebbero determinato “la diffusione incontrollata” del Sars Cov 2 all’inizio della pandemia nel “non censire e monitorare i posti letto nelle Unità Operative di malattie infettive, non aggiornandoli mensilmente in violazione di quanto previsto dal Piano Pandemico Regionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale”, omettendo di verificare “la dotazione di DPI (guanti, mascherine FFP2 e FFP3, personale sanitario”. È quanto si legge nell’avviso di chiusura indagini che la Procura di Bergamo sta notificando a 19 indagati per epidemia colposa nell’inchiesta sulla mancata zona rossa in Val Seriana.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata