Torino, 21 giu. (LaPresse) – A due settimane di distanza dall’operazione ‘Minotauro’, che fece scattare le manette per ‘ndrangheta per circa 150 persone nel torinese, questa mattina all’alba sono finiti in carcere altri 19 esponenti della mafia reggina che operavano nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo, nell’ambito dell’operazione Maglio, coordinata dalla Dda e dal Ros di Torino. “Un’operazione – ha spiegato il capo della Procura torinese Giancarlo Caselli – che è il logico compimento del ‘Minotauro’, il suo sviluppo a latere”. La sede principale delle cosche era Novi ligure, ma le ‘ndrine attive erano anche ad Alba, Sommariva Bosco, Asti e Alessandria. Il presunto boss dell’intera zona era Bruno Francesco Pronestì, ‘caposocietà’ che dirigeva e organizzava il sodalizio assumendo le decisioni più pesanti. L’indagine è nata dall’operazione ‘Crimine’, che portò, nel luglio del 2010, a una sfilza di arresti in tutta Italia. Il 30 agosto 2009, in particolare, gli inquirenti documentarono un incontro tra l’allora capo crimine di Rosarno, Domenico Oppedisano e due indagati dell’operazione odierna, Rocco Zangrà e Michele Gariuolo. In un agrumeto si mettevano d’accordo per far nascere un nuovo ‘locale’ ad Alba. Scavalcando però Pronestì, il capo del basso Piemonte, inferiore a Oppedisano.
Le manette sono scattate oggi dopo mesi di intercettazioni, ambientali e telefoniche, registrazione di video e acquisizione di documenti che testimoniano come nella regione sabauda “ci fosse una struttura verticista ordinata secondo una gerarchia di poteri, di funzioni e di una ripartizione dei ruoli degli associati”. Numerosi i riti legati all’affiliazione registrati. Ai vertici, dopo Pronestì e Zangrà, c’erano Domenico Persico, Antonio Maiolo e Damiano Guzzetta. Tutti in carcere i 19 arrestati: uno all’estero, gli altri negli istituti di Cuneo, Asti, Alessandria, Locri e Napoli.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata