Dal nostro inviato Fabio De Ponte

Herat (Afghanistan), 16 feb. (LaPresse) – Per i militari italiani in missione in Afghanistan “la cosa più difficile da affrontare è l’insicurezza. Sai che c’è il nemico ma non sai dov’è. Questa idea non ti lascia mai”. A spiegarlo è padre Mariano Asunis, cappellano militare arrivato in questi giorni ad Herat al seguito della brigata Sassari. Vestito col saio, è un veterano delle missioni. E’ già stato due volte in Afghanistan prima di questa, l’ultima per dieci mesi, e due volte in Iraq. Era lì anche il 12 novembre 2003, quando ci fu l’attentato di Nasiriyya e fu lui ad accompagnare in patria le salme dei carabinieri deceduti. “Se non hai fede – racconta – come fai? Molti si aggrappano alla fede in missione e poi non la lasciano più neanche dopo”.

“La prima cosa da fare per un religioso in questi contesti – spiega – è stabilire un contatto umano. Tanti anni fa, per qualche anno feci il rappresentante di pentole, quelle che permettevano di cuocere senza olio e senza acqua. Mi dicevano: ‘I clienti non conoscono l’azienda, conoscono te. Comprano solo se si fidano di te’. Non me lo sono mai dimenticato. Se le famiglie accolgono me nel loro cuore, poi accolgono anche Dio”.

Conosce già molti dei militari che incontra ad Herat, con diversi si ferma a scambiare una battuta, a raccontare qualcosa. Cerca la confidenza, ascolta divertito persino le barzellette sulle suore, non accetta di lasciarsi circoscrivere nella rigida serietà del saio.

Guardando chi lo avvicina per una foto davanti alla piccola cappella della base, si aggiusta i capelli con una mano e ridendo fulmina: “Fratello me lo devi dire se mi fai uno scatto, devo sistemarmi per le telecamere”.

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