Dal nostro inviato Fabio De Ponte Herat (Afghanistan), 16 feb. (LaPresse) – Somalia, Bosnia, Macedonia, Iraq, Afghanistan. Il colonnello Massimo Giraudo, con questa in Afghanistan, è alla sua nona missione all’estero. Sommando i periodi sono quasi cinque anni in giro per il mondo. I primi tempi, racconta, sono stati i più duri, soprattutto per i collegamenti con la famiglia.
“In Somalia – spiega – avevamo un ponte satellitare ogni quindici giorni, potevi telefonare per tre minuti. A volte capitava alle tre di notte, oppure alle due del pomeriggio, quando mia moglie era al lavoro, e allora non rispondeva al telefono. E a quel punto dovevo aspettare altre due settimane”.
Già meglio andava in Kosovo: “Lì – racconta – ci affidavamo alle cabine telefoniche”. Oggi invece è cambiato tutto. “Qui – spiega – c’è la connessione a internet. Con Skype possiano parlare tutte le sere in video. Posso parlare con mia figlia, che ha quasi quindici anni. Mi racconta i suoi problemi, le posso dare qualche consiglio, la aiuto un po’ con i compiti. Posso dare mano a mia moglie con le incombenze, posso anche fare bonifici online”. Ma nonostante la tecnologia, ancora non è la stessa cosa che essere a casa: “Quando torni devi sempre riconquistare i tuoi spazi – racconta -. La famiglia ha fatto a meno di te per sei mesi, non puoi tornare e fare come se non fosse accaduto nulla. Ci vuole tempo e attenzione”.
“Skype è fondamentale per restare in contatto con la famiglia”, conferma il colonnello Antonino Monaco, che comanda la base logistica italiana di Al Bateen, negli Emirati Arabi Uniti, dove danno scalo i voli militari per l’Afghanistan. “E’ dura stare così a lungo lontano dalla famiglia. D’altra parte – sottolinea – quando si sposa un militare, si sposa anche la forza armata. Una moglie lo sa”.
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