Di Fabio De Ponte
Roma, 21 apr. (LaPresse) – Il dramma dei viaggi della speranza va affrontato subito, e non basta concentrarsi sul tema degli scafisti.
E’ il quadro tracciato dal presidente della Croce rossa italiana Francesco Rocca. Due, spiega a LaPresse, le priorità: “Intensificare ogni sforzo diplomatico per pacificare la Libia” e “allestire dei corridoi umanitari protetti per chi ha diritto alla protezione internazionale”.
Un messaggio diretto alle istituzioni europee che, afferma, “si accingono a prendere delle decisioni importanti” e devono “mettere al centro l’essere umano e abbandonare ogni tatticismo, abbandonare ogni visione che non abbia al centro la risposta a chi scappa da guerre e conflitti”.
Domanda: Qual è l’attività della Croce rossa sul fronte degli sbarchi? Risposta: “Noi siamo presenti all’approdo di tutti gli sbarchi, sia della guardia costiera che dei mercantili, da oltre un anno e mezzo.
Siamo presenti su tutti i moli interessati in Sicilia, Puglia e Calabria. Solo in Sicilia, da inizio anno, sono oltre 1.100 i volontari che si sono alternati nei 62 sbarchi a cui abbiamo preso parte”.
D: A questo punto cosa bisognerebbe fare? E come lo si potrebbe fare? R: “La situazione è davvero molto difficile, nessuno ha la ricetta.
Bisogna partire dalla consapevolezza del fatto che senza una soluzione diplomatica della crisi in Libia, un intervento che si possa definire umanitario è possibile solo in territorio europeo. Non vedo come si possa pensare di prenderci cura, rispettando gli obblighi internazionali, rispetto agli aventi diritto alla protezione internazionale, non risolvendo il tema della crisi libica”.
D: E con gli scafisti?
R: “Impedire alle barche di partire, contrastando i trafficanti, va fatto, ed è estremamente importante. Ma da sola questa cosa non basta. Cosa ne è delle persone che restano lì? E poi siamo così sicuri che si fermeranno i flussi? O si troveranno altre rotte? Chi scappa dalla guerra non si ferma, troveranno altre strade. Di fatto già sta avvenendo”.
D: Stabilizzare la Libia risolverà il problema? R: “Sicuramente gli errori che sono stati fatti nel passato non devono essere più ripetuti. In passato ci siamo sempre occupati di avere con la Libia accordi e trattati commerciali o energetici ma mai di imporre a quel Paese la sottoscrizione degli accordi internazionali in tema di richiedenti asilo e protezione internazionale”.
D: Berlusconi però fece accordi perché avessero centri di detenzione, per bloccare chi arrivava dal Sudan.
R: “Ma quelli erano centri di detenzione. Deve andare in un centro di detenzione una persona che scappa dalla guerra in Siria? Il cristiano perseguitato da Boko Haram?Fino a che non veniamo meno alle convenzioni internazionali, e mi auguro che questo non avvenga mai, in materia di diritto di asilo e protezione umanitaria per chi è in pericolo di vita a causa di conflitti armati, non possiamo mandare questa gente in un centro di detenzione. Ha diritto a una protezione internazionale”.
D: Allora bisognerebbe aprire di più alla concessione di visti? R: “Sì, ma il problema è dove fare la concessione dei visti. In quale realtà? Per questo è complesso. Il centro di detenzione non è un accordo umanitario. E’ una soluzione in tema di sicurezza, che affronta il problema dei trafficanti e della criminalità, ma non risolve l’aspetto umanitario. L’Ue deve rimettere l’aspetto umanitario al centro della propria azione”.
D: Quindi lei vede la necessità anche di una revisione della normativa? R: “Sì, e questo si deve accompagnare anche a una revisione delle norme di Dublino, in tema di equa distribuzione. L’Italia da sola non si può far carico di quello che è un peso enorme, visto che molte delle persone che arrivano vogliono andare in altri Paesi europei”.
D: Ma la Germania ha molti più rifugiati di noi.
R: “Loro hanno dei flussi molto più controllati di noi. Anche i Paesi scandinavi fanno una grande opera di accoglienza. Ma da noi arrivano in maniera incontrollata. Il problema della porta d’Europa va risolto in maniera europea”.
D: Quali sono le prime tre cose da fare? R: “Sotto il profilo umanitario, intensificare ogni sforzo diplomatico per pacificare la Libia e poi allestire dei corridoi umanitari protetti per chi ha diritto alla protezione internazionale. Mi rendo conto che queste soluzioni al momento sembrano difficilmente programmabile per via della situazione libica, ma non vedo altre soluzioni. Se affrontiamo il problema solo in termini di sicurezza la rotta si sposterà attraverso i Paesi balcanici, o attraverso la Grecia o la Turchia. Non è combattendo il fenomeno dei barconi che aggiriamo il tema della risposta a chi sta scappando. Per risolvere la questione bisogna risolvere problemi da troppi anni dimenticati”.
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