Di Lorenza Pleuteri

Milano, 18 ago. (LaPresse) – San Vittore è il muro consumato dall’umidità delle docce comuni al terzo piano del VI raggio, una istantanea da film neorealista. Ma è anche il colorato reparto la Nave, in cima al III raggio, dove assieme all’Asl si sperimentano modelli di trattamento avanzato destinati a essere esportati in altri istituti e dove c’è pure un coro (pezzo forte del repertorio ‘Tu vuo’ fa l’americano’). E’ una colonia di scarafaggi accasata tra i letti di metallo scrostato di una di quelle che per regolamento si chiamano “camere” e non celle. E’ il Conp, acronimo di Centro di osservazione neuropsichiatrica, sempre pieno di gente con problemi mentali ed è scampata alle leggi che fuori hanno chiuso i manicomi e smantellato gli ospedali psichiatrici giudiziari. E’ il disegno infantile di un figlio, appeso al posto dei calendari e dei santini che in ogni reparto riempiono pareti di stanze e bagni, quelli nuovi con le docce e il bidet e quelli vecchi con la turca.

Ecco il carcere nel cuore di Milano, in un giorno di piena estate, con il caldo da record che allenta un poco la presa. Porta addosso tutti i segni dell’età, la prigione di piazza Filangieri, e pure le sezioni ristrutturate soffrono già di usura, si consumano in fretta, si logorano velocemente. Ma i numeri e le storie delle persone detenute raccontano che, a colpi di decreti e di sentenze europee e italiane, a forza di disposizioni e circolari, il sistema penitenziario italiano sta cambiando.

E’ difficile adesso pensare che nei sei raggi della struttura, prima che ne venissero dichiarati inagibili due, si pigiavano in 2.400, l’inferno dei primi anni Novanta. C’è ancora qualche cella a cinque brande e le singole sono una eccezione, non la regola. Però sono spariti i letti a castello a tre piani e le finestre si possono aprire, senza essere costretti a smontare i vetri per cambiare aria.

I posti previsti sulla carta sono 533. La conta alla mezzanotte dice che i presenti sono 804 uomini, 67 donne nel reparto femminile, 9 mamme con figli all’Istituto a custodia attenuata creato all’esterno. Gli italiani rappresentano il 37% della popolazione dietro le sbarre, gli stranieri il 63 per cento. Il grosso, per scelta, per una logica di organizzazione su base regionale, è costituito da imputati in attesa di giudizio, appellanti o ricorrenti in Cassazione. Resta una quota di “definitivi”, per ragioni di cura o di lavoro, cioè di detenuti che stanno scontando pene esecutive.

Agostino S., classe 1976, è uno di loro. Rapinava banche. Gli restano 4 anni e 4 mesi dentro, al lordo di possibili misure alternative alla detenzione e liberazioni anticipate, lo scomputo di giorni per “buona condotta”. Certifica: “Il carcere è cambiato molto. Io lo posso dire. Nel ’95 ero già stato a San Vittore e ho girato altri istituti. La differenza l’ha fatta la fine del regime a celle chiuse e del sovraffollamento. Finalmente si respira. E se sei un privilegiato, come me, finisci alla Nave, ti metti sotto e lavori per l’amministrazione”.

Prima i detenuti rimanevano confinati in pochi metri quadrati per 20-22 ore al giorno. Ora le porte blindate vengono sbloccate alle 8 di mattina e serrate alle 8 di sera, tranne che in alcuni angoli dell’istituto, e gli “inquilini” possono camminare nei corridoi e usare gli spazi comuni. Mohamed K., 30 anni e origini africane, anche lui dentro per rapina e non nuovo alla prigione, conferma. La qualità della detenzione, sempre pesante, è mutata “e in meglio”. Piccoli accorgimenti, come il poter acquistare un frigo da pic nic e disporre di un congelatore di reparto, tamponano qualche lacuna. La biblioteca del carcere offre una abbondante scelta di titoli, i volontari propongono corsi e attività. “Certo – dice – poi ci manca sempre la cosa più importante: la libertà”.

Per chi sta fuori, con la voglia di galera che torna a ondate, la privazione può sembrare nulla. Per Massimo B., imprenditore di 35 anni, è la condizione che lo ha staccato dal figlio di sei anni, ignaro che lui si trovi qui, e da una esistenza senza scossoni. “Per me – racconta – è la prima volta in carcere, per un reato da niente del 2007. Sono qui da 14 giorni, probabilmente presto mi sposteranno in una struttura per definitivi. I concellini non danno problemi, gli educatori e il resto del personale sono gentili, le guardie disponibili. Il momento più brutto è stato l’ingresso. Ma ora sto abbastanza bene. Non avevo idea di cosa potesse essere il carcere, da uomo libero, e non ci avevo mai pensato. E’ un mondo a parte“.

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