di Maria Elena Ribezzo

Città del Vaticano, 8 ott. (LaPresse) – Sono presenti come uditrici, ma sono poche e, appunto, non prendono parola. Le donne della Chiesa, in questo sinodo in cui si ragiona della famiglia, hanno un ruolo ancora marginale? Si inizia a ironizzare sui social network, segno che se ne sono accorti anche i fedeli: su Facebook spopola una fotografia che mette a confronto l’assise di cardinali titolata ‘Roma: Sinodo sulla famiglia’ con quella di un ‘consesso‘ di gatti titolata ‘New York: assemblea per i diritti del topo’. Uditrici di questa assemblea, per la verità, sono anche 18 spose che partecipano all’ascolto con i rispettivi mariti. Il punto però è che, nonostante la linea che ha tracciato Papa Bergoglio in direzione di una maggiore valorizzazione della donna nella Chiesa, la parte femminile del sinodo si conta su due paia di mani e appare non avere abbastanza spazio.

Qualcosa tuttavia inizia a muoversi. Un coinvolgimento maggiore della donna non solo è “più che auspicabile”, ma è già cominciato, ha detto il cardinal Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona e moderatore di uno dei tre ‘circoli minori’ di lingua italiana. “Se si pensa che in una congregazione della Santa Sede – ha ricordato – il sottosegretario, cioè la terza autorità, è una donna, credo che questa sia già una buona risposta”.

Addirittura il tema del diaconato femminile sarebbe “in attenzione“, posto che “né il sinodo né i circoli sono luoghi di decisione”. Le dichiarazioni seguono il discorso che l’arcivescovo canadese Paul-Andre Durocher ha tenuto all’interno del suo circolo e che poi ha riportato sul suo blog, in cui sta tenendo una sorta di diario dei lavori: “Il sinodo – ha scritto – dovrebbe riflettere seriamente sulla possibilità di permettere il diaconato femminile, perché aprirebbe la strada a maggiori opportunità per le donne nella vita della Chiesa. Dove possibile, a donne qualificate dovrebbero essere assegnate posizioni e autorità decisionali nelle strutture ecclesiastiche e nuove opportunità nel clero”.

Papa Francesco per primo ha lanciato più volte messaggi in direzione di un maggiore coinvolgimento delle donne nella Chiesa: “Sono come le fragole sulla torta: ce ne vogliono di più” aveva detto in udienza generale appena un mese fa. Dalla sua salita al soglio pontificio il Santo Padre ha condannando lo stereotipo della ‘donna tentatrice’ e aperto a una “teologia della donna che sia all’altezza di questa generazione di Dio”. L’attenzione che ha mostrato più volte è in particolare per le donne più svantaggiate: nel Giovedì santo, per la prima volta, ha lavato i piedi a due carcerate. Si è schierato apertamente contro i maschilismi e la disparità dei sessi, dicendosi “indignato” per la disuguaglianza tra uomo e donna. Addirittura ha parlato di chi è costretta all’aborto non tanto come peccatrice, quanto come creatura che subisce un “dramma esistenziale e morale, che porta nel cuore la cicatrice di una scelta dolorosa”.

“La questione della nobiltà della donna è ben presente e ben accolta e desiderata”, ha specificato oggi nel corso del briefing sui lavori del Sinodo il cardinal Menichelli. “Lo abbiamo inserito anche nel ‘Instrumentum Laboris'”. Il documento di partenza sui lavori sinodali, sintesi dei lavori del sinodo straordinario dello scorso anno e dei molti contributi arrivati da fedeli e diocesi, al capitolo 30 ha un paragrafo dedicato al ruolo delle donne, che comunque continua a dipingere come soggetti deboli da difendere: “La condizione femminile nel mondo è soggetta a grandi differenze che derivano in prevalenza da fattori culturali – si legge nel documento -. Non si può pensare che situazioni problematiche possano essere risolte semplicemente con la fine dell’emergenza economica e l’arrivo di una cultura moderna, come provano le difficili condizioni delle donne in diversi Paesi di recente sviluppo”.

L’Instrumentum laboris mette in evidenza come ci siano condizioni diverse da tenere presente, a seconda della latitudine: “nei Paesi occidentali l’emancipazione femminile richiede un ripensamento dei compiti dei coniugi nella loro reciprocità e nella comune responsabilità verso la vita familiare; nei Paesi in via di sviluppo, allo sfruttamento e alla violenza esercitati sul corpo delle donne e alla fatica imposta loro anche durante la gravidanza, spesso si aggiungono aborti e sterilizzazioni forzate, nonché le conseguenze estremamente negative di pratiche collegate con la procreazione (ad esempio, affitto dell’utero o mercato dei gameti embrionali); nei Paesi avanzati, il desiderio del figlio ‘ad ogni costo’ non ha portato a relazioni familiari più felici e solide, ma in molti casi ha aggravato di fatto la diseguaglianza fra donne e uomini. La sterilità della donna rappresenta, secondo i pregiudizi presenti in diverse culture, una condizione socialmente discriminante”. E poi conclude ammettendo che a un riconoscimento del ruolo determinante delle donne possa contribuire “una maggiore valorizzazione della loro responsabilità nella Chiesa: il loro intervento nei processi decisionali; la loro partecipazione, non solo formale, al governo di alcune istituzioni; il loro coinvolgimento nella formazione dei ministri ordinati”.

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