Città del Vaticano, 10 dic. (LaPresse) – Nessuna religione è immune dal rischio di fondamentalismi o estremismi, “Si tratta di alzare lo sguardo per andare oltre”, guardando ai “valori positivi che propongono”. Sono le parole che Papa Francesco ha pronunciato il 28 ottobre scorso in piazza San Pietro per l’udienza generale interreligiosa, convocata a 50 anni dal Concilio Vaticano II, che segnò una svolta nella storia della Chiesa cattolica e aprì la strada al dialogo tra religioni: “Un tempo straordinario di riflessione” l’ha definito Bergoglio, “per rinnovare lo sguardo della Chiesa su se stessa e sul mondo”.
“A causa della violenza e del terrorismo si è diffuso un atteggiamento di sospetto o addirittura di condanna delle religioni”, aveva detto il Santo Padre, sapendo che il mondo guarda ai credenti esortandoli “a collaborare” e chiede loro “risposte effettive” sulla “pace, la fame, la miseria che affligge milioni di persone, la crisi ambientale, la violenza, in particolare quella commessa in nome della religione, la corruzione, il degrado morale, le crisi della famiglia, dell’economia, della finanza, e soprattutto della speranza”. Per i mali del mondo non esistono ricette, se non una grande risorsa: “la preghiera”.
Il messaggio della Nostra aetate “è ancora molto attuale”, aveva assicurato, destinando “una speciale gratitudine a Dio” per “la vera e propria trasformazione” che ha avuto in questi 50 anni il rapporto tra cristiani ed ebrei: “Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli”.
Dunque aveva ribadito con chiarezza il Papa, sulla via tracciata dal Concilio: “Sì alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo. No a ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano”.