Palermo, 11 dic. (LaPresse) – I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Palermo hanno eseguito sei provvedimenti di fermo, emessi dalla Procura di Palermo nei confronti di Giuseppe Greco, Natale Giuseppe Gambino, Gabriele Pedalino, Domenico Ileardi, Lorenzo Scarantino e Francesco Urso, accusati a vario titolo di omicidio, tentato omicidio, associazione mafiosa e reati in materia di armi.

L’operazione ‘Torre dei Diavoli’ dall’antico nome della zona oggi corrispondente al rione Guadagna, ha interessato la famiglia di Santa Maria di Gesù, inserita nell’omonimo mandamento, di cui è stato accertato il processo di riorganizzazione interna e la capacità militare culminata nel recentissimo omicidio di Salvatore Sciacchitano e nel ferimento di Antonino Arizzi.

Le attività hanno consentito di conoscere l’attuale gruppo di vertice costituito intorno al capofamiglia, detto anche ‘Principale’, Giuseppe Greco già condannato nell’ambito dell’indagine Ghiaccio del Ros. Giuseppe è fratello dell’ergastolano Carlo, questo ultimo negli anni ’90 esponente di vertice dello stesso mandamento insieme a Pietro Aglieri. Dalle indagini sono emersi i principali collaboratori del capo famiglia, individuati nel sottocapo Natale Giuseppe Gambino, in passato legato a Pietro Aglieri, e – benché privo di cariche formali per esplicita scelta – in Salvatore Profeta, già coinvolto nel noto blitz di Villagrazia.

A questi ultimi due storici esponenti dell’organizzazione, scarcerati nell’ottobre 2011 a seguito della richiesta di revisione del processo per la strage di via d’Amelio, si sarebbero aggiunti il genero di Salvatore Profeta, Francesco Pedalino, con il ruolo di capodecina, ed il figlio Antonino Profeta, scelto direttamente da Giuseppe Greco come proprio rappresentante. Tale incarico, non previsto formalmente nella gerarchia mafiosa, avrebbe consentito al giovane uomo d’onore di interloquire con altri appartenenti al sodalizio svincolato dagli obblighi e dalle limitazioni tipiche derivanti dalla posizione di soldato e con la dipendenza esclusiva dal capo della famiglia ovvero, nella sola ipotesi di temporanea assenza del vertice, dal sottocapo.

Dopo l’omicidio di Giuseppe Calascibetta la reggenza della famiglia sarebbe stata saldamente assunta proprio da Greco la cui posizione apicale, in ossequio alla tradizione di quel sodalizio, avrebbe richiesto però una legittimazione rituale da parte degli altri uomini d’onore.

Le procedure di elezione, ad imitazione delle vere competizioni politiche, sarebbero tuttora basate su una preliminare attività di propaganda a favore dei candidati, anche se in realtà non vi sarebbe stato nella circostanza un vero e proprio antagonista alla figura di Giuseppe Greco che, in funzione della carica di reggente già assunta, avrebbe ottenuto da subito il consenso degli affiliati più autorevoli, tra i quali lo stesso Salvatore Profeta che si è offerto di appoggiare Giuseppe Greco probabilmente per la sua parentela con il collaboratore Vincenzo Scarantino, certamente ingombrante, e per via dell’età avanzata.

Dopo l’attività di propaganda c’è stata la vera e propria elezione attraverso il voto di tutti gli affiliati che esprimerebbero la preferenza a scrutinio palese. La procedura elettiva avverrebbe oggi solo per le cariche di capofamiglia e consigliere, mentre le nomine per i ruoli di sottocapo e capodecina sarebbero riservate allo stesso Capo famiglia – Principale in precedenza eletto.

Le indagini hanno fatto emergere il coinvolgimento della cosca nell’agguato mortale a Salvatore Sciacchitano, ucciso nella serata del 3 ottobre scorso. Le attività investigative hanno evidenziato che il defunto è stato brutalmente punito in quanto reo di aver partecipato, solo poche ore prima ed in compagnia di Francesco Urso, al ferimento di Luigi Cona, soggetto legato ad esponenti della famiglia di Santa Maria di Gesù pur non essendone organico.

Il complesso delle operazioni ha consentito di ricostruire le fasi precedenti e concomitanti all’agguato mortale durante le quali si è assistito ad una frenetica organizzazione allo scopo di compiere un’esecuzione che fosse di monito non solo per i responsabili della precedente sparatoria ma anche per chiunque altro avesse intenzione di assumere iniziative autonome rispetto alla linea dettata dai vertici della famiglia.

Il coinvolgimento dei principali soggetti della compagine mafiosa è emerso in maniera esemplare sia dalle precise istruzioni fornite agli esecutori materiali sulle modalità con le quali condurre l’azione omicidiaria (sparare prima agli arti inferiori per impedire ogni tentativo di fuga prima del colpo di grazia e non portare al seguito telefoni durante l’agguato), sia dalla captazione investigativa – a breve distanza dell’agguato – dei numerosi colpi di arma da fuoco esplosi all’indirizzo delle vittime.

Le indagini hanno così permesso di individuare le responsabilità dei mandanti dell’omicidio (Natale Giuseppe Gambino e Salvatore Profeta), degli esecutori materiali (Francesco Pedalino, Antonino Profeta, Gabriele Pedalino e Domenico Ileardi) e del soggetto impiegato a supporto al gruppo di fuoco (Lorenzo Scarantino).

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