"Chi è il mio prossimo? Chi devo amare come me stesso? I miei parenti? I miei amici? I miei connazionali? Quelli della mia stessa religione?". Papa Francesco, nell'Angelus della domenica dalla loggia delle benedizioni del Palazzo Apostolico su piazza San Pietro, cita la parabola del buon samaritano. "Nel suo racconto semplice e stimolante – spiega il pontefice – indica uno stile di vita, il cui baricentro non siamo noi stessi, ma gli altri, con le loro difficoltà, che incontriamo sul nostro cammino e che ci interpellano. Gli altri ci interpellano e quando non ci interpellano qualcosa non funziona, qualcosa non è cristiano".
"Domandiamoci: la nostra fede è feconda? Produce opere buone? Oppure è piuttosto sterile, e quindi più morta che viva? Mi faccio prossimo o semplicemente passo accanto? Queste domande è bene farcele spesso, perché alla fine saremo giudicati sulle opere di misericordia; il Signore potrà dirci: 'Ti ricordi quella volta, sulla strada da Gerusalemme a Gerico? Quell'uomo mezzo morto ero io'. 'Quel bambino affamato ero io'. 'Quei migranti che vogliono cacciare via ero io'. 'Quel nonno solo ero io'", continua il Pontefice.
E poi ammonisce: un vero cristiano fa e non parla soltanto."Mi viene in mente quella canzone – ha aggiunto citando Mina -: 'Parole, parole, parole'". "L'atteggiamento del buon samaritano è necessario per dare prova della nostra fede, la quale se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta, come ricorda l'apostolo Giacomo. Mediante le opere buone, che compiamo con amore e con gioia verso il prossimo, la nostra fede germoglia e porta frutto".