E pensa ai suoi sei parenti di Roma in villeggiatura di cui non c'è traccia

"Un Paese che non c'è più" – così come lo ha definito il sindaco – e tanti drammi diversi. Ad Amatrice sono tante storie a comporre un unico, immenso, dolore. C'è chi aspetta, disperato, notizie di una persona cara e smette di respirare ogni volta che i cani delle unità cinofile si mettono ad abbaiare. C'è chi deve riconoscere i corpi di un parente e viene da fuori, da Roma o altre località, e con la viabilità piena di limiti non riesce a raggiungere i centri dove sono concentrate le salme. E poi c'è la storia di Elisa, 67 anni, da quella terribile notte della prima scossa sfollata nel piazzale dell'ospedale Grifoni di Amatrice. La donna, che incontriamo nella tenda del presidio di prima assistenza sanitaria, è stata praticamente adottata da medici, infermieri volontari delle ambulanze e operatori del 118.

L'ospedale inagibile, sgomberato nella notte di martedi dal personale che ha messo in salvo i degenti, stamattina si è svegliato con il comignolo mozzato dall'ennesima scossa. Elisa è stata salvata dal figlio martedì notte: a casa aveva la porta incastrata, due calci all'uscio ed è stata liberata. Ora però pensa ai suoi sei parenti da Roma in villeggiatura ad Amatrice in una casa in affitto nel centro del paese ormai distrutto. "Dovevano ripartire dopo la sagra di sabato e domenica, ma di loro nessuna traccia – racconta – La mia casa è inagibile, ho visto cadere i mobili e poi non mi ricordo più nulla". "Ma mi chiedo anche – si interroga la signora Elisa- in che stato sarà la tomba di mio marito al cimitero di Amatrice. Che pena, chissà cosa resta.. Appena possibile voglio andare a vedere. E appena possibile voglio raggiungere i miei due figli dall'altra parte del paese nel campo sfollati". Un figlio militare a Rieti è venuto a trovarla e presto la porterà con lui.

Ad Amatrice ci si dispera per i morti a causa della terra che ha tremato sorprendendo la gente nel sonno, ma ci si dispera anche per quelli che sotto terra non ci sono finiti per il sisma, persone care di cui resta da tempo solo il ricordo e – si spera – ancora una lapide su cui piangerli.

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