Una terra piegata ma non spezzata dal sisma, che da quattro anni cerca di ricostruirsi e ripartire. E' l'Emilia Romagna, che negli ultimi dieci giorni è stata chiamata in causa innumerevoli volte dopo il terremoto che si è abbattuto sul centro Italia. Qui la ferita è ancora aperta: erano stati 60 i Comuni colpiti, con 42mila evacuati e 13 miliardi di danni. Ora, dopo quattro anni, la situazione si sta stabilizzando, ma il lavoro prosegue. Perchè la decisione dell'Emilia Romagna, come era già successo in Friuli, è stata quella di ricostruire i paesi esattamente dove erano.
"Questa scelta ci ha portato a vedere l'emergenza e la ricostruzione come due facce della stessa medaglia", racconta a LaPresse Palma Costi, assessore alla Ricostruzione post-sisma dell'Emilia Romagna, per la quale le due parole da tenere a mente sono "legalità e sicurezza". "Abbiamo deciso – prosegue – che quello era il modo migliore e più sicuro. Ci siamo subito dati delle tempistiche, perchè entro l'autunno le tendopoli, con l'arrivo del freddo, dovevano essere chiuse. L'utilizzo dei moduli abitativi temporanei è stato limitato: sono stati 757 in tutti i Comuni".
E i moduli in quattro anni sono lentamente diminuiti: a oggi sono ancora 81 le famiglie ospitate, ma il numero cala costantemente. Su 28.114 persone rimaste senza casa, 19.793 sono tornate nelle loro case in sicurezza. L'espressione 'modello Emilia', però, all'assessore non piace, e non fa la lista di punti in comune o differenze con il 'modello Friuli', perchè "non esistono modelli. Ci sono alcuni ingredienti simili che si trovano nella ricostruzione del Friuli, dell'Umbria e anche dell'Emilia. Il principale è la responsabilizzazione dei territori e degli enti locali con i rappresentanti e i sindaci. Ma poi ogni realtà ha storie e situazioni diverse".
Nei paesi colpiti nel centro Italia sono già iniziati i sopralluoghi per la salvaguardia dei Beni culturali coinvolti. Com'è, oggi, la situazione in Emilia? "Ai tempi il Mibact attivò subito le ricognizioni e fece una previsione di spesa. Grazie a questo sappiamo che per ricostruire tutta la parte pubblica serve un miliardo e mezzo. A oggi abbiamo un miliardo e 74 milioni. Ci manca una quota, ma ogni anno facciamo un confronto con il Governo sulle quote mancanti. È un processo".
Come si vive la realtà della ricostruzione giorno dopo giorno? "Io vivo nel territorio del sisma, lo vivo da amministratore e da cittadina. L'attaccamento al territorio – spiega Costi – è la nostra grande forza. Ma chi l'ha vissuto sa che c'è un 'prima del terremoto' e un 'dopo il terremoto'. Quando per ore hai vissuto nella paura della morte dei tuoi figli è difficile cancellare quella sensazione. Ma in queste situazioni viene a galla un alto livello di solidarietà: c'è una bella Italia. Non bisogna solo ricostruire i muri, ma permettere alla gente di ricostruire un senso di collettività. Ricordo un signore, subito dopo il terremoto, che era arrivato dal Friuli, sapeva cosa voleva dire essere vittima di un sisma: faceva pianobar, e così girava per le tendopoli per cantare e suonare per gli sfollati. L'Italia è meravigliosa, e a questi italiani bisogna rendere conto".