L'ex sindaco di Roma era stato assolto dalle accuse di peculato e falso il 7 ottobre scorso

Sul caso scontrini ci fu superficialità ma nulla che possa rientrare in una fattispecie di reato. E' quanto emerge dalle motivazioni della sentenza con la quale è stato assolto, il 7 ottobre scorso, l'ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, dalle accuse di peculato e falso in relazione alle cene pagate con la carta di credito da sindaco. "Appare evidente che eventuali errori, imprecisioni e/o discrasie afferenti alle dichiarazioni giustificative non sono suscettibili di rivestire alcuna rilevanza in questa sede penalistica, potendo tutt'al più costituire indice di un sistema organizzativo improntato, soprattutto nella prima fase, a imprecisione e superficialità", scrive il gup Pierluigi Balestrieri.

"In altri termini, tenuto conto del modello  'ricostruttivo' adottato dallo staff del Marino in vista della predisposizione dei giustificativi relativi alle cene da questi offerte con la carta di credito  – scrive ancora il giudice – non sembra consentito attribuire a detti giustificativi alcuna valenza probatoria in funzione dell'accertamento della finalità eventualmente privatistica perseguita dal medesimo".

Inoltre secondo il magistrato, dai giustificativi in questione non si può desumere "l'evidenza di una spesa compiuta per fini non istituzionali, trattandosi, per I'appunto, di dichiarazioni approssimative e intempestive, e dunque connotate da inevitabili errori, imprecisioni e/o discrasie".

"Erano 56 le cene sospette, tra luglio del 2013 e giugno del 2015, per complessivi 12.700 euro pagati con la carta di credito in dotazione all'allora primo cittadino ma consumate, secondo gli inquirenti, "generalmente nei giorni festivi e prefestivi, con commensali di sua elezione, comunque la difformi della funzione di rappresentanza dell'ente". I ristoranti preferiti dall'allora sindaco erano a Roma, ma anche in altre città come Milano, Genova, Firenze e Torino.

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