In primo grado, il 24 ottobre del 2016, la Corte d'assise di Arezzo lo aveva condannato a 27 anni di reclusione. Il sacerdote: "Giustizia razzista"

Guerrina Piscaglia, la donna di 50 anni allontanatasi dalla sua abitazione di Ca' Raffaello, nel comune di Badia Tedalda (Arezzo), il 1 maggio 2014 per dirigersi in parrocchia e da allora scomparsa nel nulla, non si è allontanata, non si è suicidata, ma è stata uccisa, e ad ucciderla quel giorno fu padre Gratien Alabi, con il quale aveva avuto una relazione sentimentale. A questa conclusione, dopo due ore di camera di consiglio, sono giunti anche i giudici della Corte d'assise d'appello di Firenze, che hanno però ridotto a 25 anni di reclusione la condanna per omicidio volontario e occultamento di cadavere, inflitta al sacerdote congolese. In primo grado, il 24 ottobre del 2016, la Corte d'assise di Arezzo lo aveva condannato a 27 anni di reclusione. Il sostituto procuratore generale, Luciana Piras, e i legali delle parti civili avevano chiesto che venisse confermata la sentenza dei giudici aretini.

Nell'udienza, il sostituto procuratore generale nella requisitoria aveva ripercorso la vicenda giudiziaria. Le ragioni del delitto, secondo l'accusa, vennero ben descritte nelle oltre 200 pagine delle motivazioni della sentenza della Corte d'assise di Arezzo. Per i giudici aretini Gratien Alabi uccise la sua parrocchiana lo stesso giorno in cui lei scomparve da casa e lo fece "per paura di uno scandalo", dal momento che la donna era innamorata di lui in modo "sofferente e anomalo". Sentitosi minacciato e in pericolo Gratien Alabi, per l'accusa e per i giudici di primo grado, ebbe una reazione "impulsiva" e "non premeditata".

Nel processo ad Arezzo ebbe un peso rilevante per la condanna un sms che risultava partito dal telefonino della donna, nel giorno in cui scomparve, indirizzato a un frate che solo Gratien conosceva. Quel messaggio, in cui Guerrina annunciava di essere scappata con un marocchino, sempre secondo l'accusa, venne scritto dal sacerdote congolese per depistare le indagini e venne inviato erroneamente all'altro frate. Il telefonino di Guerrina, secondo la ricostruzione del pm della procura di Arezzo Marco Dioni, che ha sostenuto l'accusa insieme al sostituto procuratore generale Luciana Piras, rimase per altri tre mesi nelle mani di padre Gratien, fra maggio e luglio del 2014.

L'avvocato Riziero Angeletti, che insieme al collega Francesco Zacheo difendeva padre Gratien, nella sua arringa difensiva, al termine della quale aveva chiesto l'assoluzione per il suo assistito o, in subordine, la riapertura dell'istruttoria per ascoltare di nuovo alcuni testimoni, sentiti solo in incidente probatorio, e un consulente tecnico, aveva citato un pronunciamento recente della Cassazione che renderebbe inutilizzabili i messaggini telefonici se non sono stati sequestrati i cellulari durante le indagini. Inoltre, aveva giudicato gli elementi di prova addotti nel corso del dibattimento insufficienti per arrivare a una condanna, sottolineando anche come il corpo di Gerrina Piscaglia non sia mai stato trovato, e come questo non escluda l'ipotesi di un suo allontanamento volontario.

"Questa è una giustizia razzista, sono vittima del razzismo. Se fossi stato italiano, non mi avrebbero condannato. Ho fiducia nella Cassazione, spero che la verità finalmente verrà a galla", ha detto il sacerdote congolese subito dopo la lettura della sentenza. Padre Gratien, accompagnato da un confratello dell'ordine dei premonstratensi, era arrivato a Firenze, in treno da Roma, per seguire il processo in aula. Padre Gratien sta scontando gli arresti domiciliari in convento con il braccialetto elettronico. In vista del processo di appello, nei giorni scorsi il Tribunale di sorveglianza ha concesso l'autorizzazione dello sgancio del braccialetto elettronico per seguire le udienze. Era presente in aula anche Mirco Alessandrini, il marito di Guerrina Piscaglia, parte civile nel processo.

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