Aveva 96 anni. Era famoso per aver dimostrato l'infondatezza scientifica del concetto di razza umana
La scienza italiana perde un gigante. A 96 anni infatti si è spento Luigi Luca Cavalli Sforza, massimo esperto di genetica delle popolazioni che dedicò gran parte dei suoi studi a dimostrare l'infondatezza scientifica del concetto di razza umana. Il suo lavoro, soprattutto dagli anni Cinquanta in poi, si è incentrato sulle migrazioni dell'uomo e sulle interazioni tra geni e cultura.
Nato a Genova il 25 gennaio del 1922, dopo aver vissuto a lungo a Torino si laurea in Medicina all'Università degli Studi di Pavia. È ancora studente quando conosce Adriano Buzzati Traverso e inizia a collaborare con lui in ricerche sperimentali su popolazioni della Drosophila, il moscerino della frutta considerato l'organismo 'ideale' di massimo interesse per i genetisti. Inizia a occuparsi di genetica a Cambridge negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale.
Poi, per quarant'anni, con una serie impressionante di pubblicazioni, si dedica alla genetica delle popolazioni, finalizzata allo studio dell'evoluzione umana, presso l'Università di Stanford. Negli anni '80 e '90 ricostruisce con l'uso della linguistica una mappa storica delle migrazioni umani. I suoi studi hanno permesso di ritrovare nell'attuale patrimonio genetico dell'uomo i segni lasciati dai grandi movimenti migratori del passato e delle società multietniche. Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei per la classe delle Scienze Fisiche, membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze, era anche socio onorario della Società italiana di biologia evoluzionistica.
La sua riflessione più celebre è una frase che rimarrà nel Pantheon della scienza mondiale per profondità e attualità (anche politica): "I gruppi che formano la popolazione umana non sono nettamente separati, ma costituiscono un continuum. Le differenze nei geni all'interno di gruppi accomunati da alcune caratteristiche fisiche visibili sono pressoché identiche a quelle tra i vari gruppi e inoltre le differenze tra singoli individui sono più importanti di quelle che si vedono fra gruppi razziali". "La parola razza – continua – stava a significare un sottogruppo di una specie distinguibile da altri sottogruppi della stessa specie. Ma la distinguibilità è inapplicabile nella specie umana (…) Le migrazioni frequentissime hanno creato una continuità genetica quasi perfetta". La speranza è che ci sia un continuum, per usare un termine caro a Cavalli Sforza, anche per i suoi studi così decisivi nella genetica.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata