Condannati 13 imputati nel processo d'appello bis voluto dalla Cassazione per valutare l'esistenza delle accuse di mafia
Condannati tutti i principali imputati nel processo d'appello bis al clan Fasciani di Ostia e riconosciute le accuse di associazione mafiosa. La sentenza arriva dopo un rinvio da parte della Cassazione che ha ordinato, nell'ottobre del 2017, il nuovo processo per valutare l'esistenza delle accuse di mafia per gli imputati accusati a vario titolo di usura, estorsione, spaccio di droga e altri reati. La corte ha inflitto pene che per i 13 imputati superano complessivamente i 160 anni di carcere.
Il boss Carmine Fasciani è stato condannato a 27 anni e due i mesi di carcere, il fratello Terenzio Fasciani a 8 e mezzo, la moglie Silvia Franca Bartoli a 12 anni e cinque mesi e le due figlie Sabrina e Azzurra a 11 anni e 4 mesi e e 7 anni e 2 mesi. Inoltre sono stati condannati, confermando quasi in tutto le richieste del pg Giancarlo Amato, Alessandro Fasciani (10 anni e 6 mesi), Riccardo Sibio (25 anni e 3 mesi), John Gilberto Colabella (13 anni), Luciano Bitti (13 anni e 3 mesi), Gilberto Inno (7 anni e un mese), Mirko Mazzoni (10 anni), Danilo Anselmi (7 anni) ed Eugenio Ferramo (10 anni). Le accuse vanno dall'associazione mafiosa, all'usura, estorsione e reati di droga.
Nella prima sentenza d'appello i giudici avevano derubricato il reato di associazione di tipo mafioso, riconosciuto in primo grado, in associazione a delinquere semplice, riducendo le condanne che in primo grado avevano superato complessivamente i 200 anni di carcere, a 56 anni. La Suprema Corte, nella decisione con la quale aveva disposto il nuovo processo di appello, considerava, con riferimento ad altre sentenze, "processualmente acquisito che la famiglia Fasciani ha costituito un'associazione per delinquere di tipo mafioso con a capo Carmine Fasciani".
Soddisfatta l'associazione Libera, costituita parte civile nel processo: "La pronuncia della Corte di Appello di Roma recepisce in maniera ineccepibile l'orientamento della Cassazione che ha delineato i connotati essenziali delle nuove mafie autoctone. Ora nessuno potrà più mettere in discussione la natura mafiosa dei clan che si sono spartiti i traffici illeciti nella Capitale e che per anni hanno condizionatola vita economica e democratica del litorale romano, arrivando sin dentro il cuore della città. La sentenza conferma le solide ragioni che, anche nelle aule di giustizia, ispirano da anni l'impegno dell'associazione Libera che si è sempre battuta, con la massima determinazione, per respingere ogni strumentale minimizzazione delle presenze mafiose nelle realtà del centro-nord".
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