L'albergo sommerso dalla neve, la corsa contro il tempo per salvare i superstiti, le polemiche per i ritardi nei soccors
Era il pomeriggio del 18 gennaio del 2017 quando una valanga si staccò sul versante pescarese del Gran Sasso travolgendo l’Hotel Rigopiano di Farindola. All’interno c’erano 40 persone, tra queste 28 ospiti, tutti bloccati nel resort a causa delle abbondanti nevicate cadute nell’entroterra abruzzese nelle ore precedenti. Di quella tragedia furono solo 11 i superstiti, 9 dei quali estratti vivi dai resti dell’albergo. Morirono 29 persone.
Alle 17 la struttura fu travolta da una massa di 120mila tonnellate di neve che viaggiava ad altissima velocità. Il primo allarme, da uno dei superstiti, viene lanciato 40 minuti dopo. All’inizio non viene creduto così la macchina dei soccorsi partì molto in ritardo, solo due ore dopo la tragedia.
La ricostruzione
L’Italia è stretta nella morsa del gelo e impaurita dalle continue forti scosse di terremoto che da qualche giorno stanno tornando a scuotere il Centro Italia quando, in una serata sonnolenta del 18 gennaio di sei anni fa i media iniziano a lanciare l’allarme. Le prime avvisaglie non lasciano certo intendere la tragedia che seguirà. Si parla di un hotel, chiamato Rigopiano, che prende il nome dal luogo dove è sorto, in provincia di Pescara colpito da una slavina. Diventa notte fonda quando i soccorritori iniziano a parlare di difficoltà nel raggiungere la struttura: un resort di lusso alle pendici del Gran Sasso. La strada che da Farindola porta al complesso, dove ci sono 40 ospiti, è bloccata da almeno un metro e mezzo di neve.
Nel cuore della notte si inizia a parlare di dispersi. Per percorrere quel tratto di provinciale il soccorso alpino, completamente al buio, usa sci e ciaspole. Arrivano le prime immagini del muro di neve che ostacolano la ‘scalata’. Il luogo del disastro viene raggiunto all’alba del 19.
Il racconto del testimone
Contemporaneamente però la tragedia, lo scempio e la devastazione che i soccorritori si troveranno avanti, viene tratteggiata da Giampaolo Parete, un ospite dell’albergo che si trovava fuori al momento della valanga. Parete, alle 17.08, dal parcheggio dell’albergo, lancia l’allarme al 118 comunicando che una valanga ha fatto crollare la struttura. E’ disperato: dentro ha moglie e figli. Dice: “L’albergo non c’è più”.
Due minuti dopo, alle 17.10 la prefettura di Pescara chiama l’hotel, senza ottenere, ovviamente, alcuna risposta. Mezz’ora dopo (alle 17.40), una funzionaria, Daniela Acquaviva, della prefettura contatta Bruno Di Tommaso, direttore dell’hotel, che dice di trovarsi a Pescara e di non sapere nulla. Alle 18.03 Giampiero Parete telefona al titolare del ristorante dove lavora come cuoco a Silvi Marina, Quintino Marcella, che a sua volta chiama più volte il 112 e il 113. È lo stesso Marcella, per ben due volte (alle 18.08 e alle 18.20) a parlare con la prefettura di Pescara, ma la funzionaria liquida la richiesta d’aiuto come un falso allarme. È solo alle 18.57, quando un volontario della Protezione civile crede al racconto di Quintino Marcella, che i soccorsi si attivano. Si saprà in seguito che la devastante valanga che ha trascinato la Spa dieci metri più a valle, ha travolto la struttura tra le 16.30 e le 16.50.
Chi riesce a ricevere sms dai soccorritori viene a sapere che la situazione è drammatica e che l’albergo è stato spazzato via. Ci sono tonnellate di neve, alberi sradicati e detriti che hanno sommerso l’area dove si trovava l’albergo. Vengono tratte in salvo le prime due persone, superstiti perché si trovavano all’esterno dell’Hotel. In quella mattinata, le macerie restituiscono le prime vittime. Per i parenti dei dispersi iniziano lunghe ore di attesa, angoscia e speranza. Solo il giorno dopo, il 20 gennaio, vengono recuperati 9 superstiti, tra i quali 4 bambini.
Insieme a loro, affiorano anche i corpi senza vita degli altri ospiti. Con un bilancio di 29 morti e 11 sopravvissuti, il 25 gennaio 2017 vengono ufficialmente chiuse le operazioni di ricerca e salvataggio.
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