Sentenza della Corte d'Assise di Caltanissetta: il boss latitante era già stato condannato per le bombe al nord Italia del 1993

Il boss latitante Matteo Messina Denaro contribuì alla "strategia stragista" che, tra maggio e luglio del 1992, causò la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e dei loro agenti della scorta.

È quanto ha stabilito la Corte d'Assise di Caltanissetta al termine di una lunga camera di consiglio durata oltre tredici ore. Messina Denaro era già stato condannato per le bombe al nord Italia del 1993: gli attentati di Firenze, Milano e Roma furono ordinati da Bernardo Provenzano. Le stragi di Capaci e via D’Amelio, invece, furono attuate su precisa volontà di Totò Riina. La sentenza, dunque, riconosce l'esistenza di un "disegno comune" di Cosa nostra che fu elaborato subito dopo la sentenza definitiva sul maxiprocesso alla mafia, emessa dalla Corte di Cassazione il 30 gennaio 1992.

Pur essendo solo 30enne all'epoca, Messina Denaro ebbe un ruolo di primo piano nella fase stragista voluta da Cosa nostra contro lo Stato. La primula rossa di Castelvetrano non partecipò fisicamente all'esecuzione, "ma abbiamo provato che fu uno dei mandanti, uno dei protagonisti di tutta quella drammatica stagione che poi allunga la sua scia in altri parti del Paese", ha spiegato il pm Gabriele Paci. "La decisione di uccidere i due giudici non fu un fatto isolato, ma ben piazzato al centro di una strategia stragista a cui Matteo Messina Denaro ha partecipato con consapevolezza".

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