Eni-Nigeria, Tribunale Milano assolve tutti gli imputati perché il fatto non sussiste | IL PUNTO

Dopo l’assoluzione per la presunta corruzione in Algeria, Eni è stata assolta “perché il fatto non sussiste” anche nel processo sulla presunta maxi tangente versata in Nigeria. Un miliardo e 92 milioni di dollari che il gruppo di San Donato e Shell, per la procura di Milano, avrebbero versato nel 2011 in cambio della concessione per il campo petrolifero Opl-245, al largo delle coste nigeriane, pagata in tutto 1,3 miliardi di dollari.

Ci sono volute 6 ore di camera di consiglio ai giudici della settima sezione penale del Tribunale di Milano per decidere che il fatto non sussiste. Proprio per questo, oltre al ‘Cane a sei zampe’ hanno scagionato anche l’a.d. di Eni Claudio Descalzi, il suo predecessore Paolo Scaroni e altri 12 imputati, tra manager del gruppo e di Shell, oltre al colosso olandese e ad ex politici e uomini d’affari nigeriani e intermediari sia italiani che africani.

Il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro avevano sollecitato pene fino a 10 anni di reclusione e avevano chiesto una sanzione pecuniaria di 900 mila euro per Eni e Shell oltre ad una confisca, in solido con tutti gli imputati, di 1 miliardo e 92 milioni, somma ritenuta il prezzo della corruzione.

La prova della maxi tangente, per la Procura, sarebbe stata nei documenti sequestrati ad alcuni dirigenti di Shell, nei quali era indicata un’equazione che avrebbe spiegato la provenienza della mazzetta. Per le difese, invece, si sarebbe trattato solo di una suggestione. Il procuratore aggiunto De Pasquale e il pm Spadaro, inoltre, avevano puntato tutto anche su due email già allegate ad una sentenza dell’Alta Corte di Londra in merito a una causa civile tra la Nigeria e JP Morgan e che avevano fatto acquisire agli atti del processo ormai in dirittura d’arrivo, facendo riaprire il dibattimento. Comunicazioni che, per l’accusa, sarebbero state determinanti per provare l’esistenza di accordi illeciti che avevano ‘sbloccato’ la complessa partita per aggiudicarsi il maxi giacimento.

Il campo petrolifero Opl-245, infatti, era stato attribuito nel 1998 alla socità Malabu Oil&Gas, di Dan Etete, ex ministro del Petrolio negli anni Novanta. Dopo una serie di vicende politiche e giudiziarie, nell’aprile 2011 Eni, Shell avevano raggiunto un accordo con il governo nigeriano. I due colossi del petrolio si erano accordati per pagare 1,3 miliardi di dollari alla Nigeria, di cui la maggior parte, per i pm milanesi, sarebbero finiti in realtà nelle tasche di politici ed esponenti di spicco del mondo degli affari nigeriano. Un castello accusatorio che, tuttavia, non ha retto davanti al collegio presieduto da Marco Tremolda: le ragioni si potranno conoscere leggendo le motivazioni, che verranno depositate tra 90 giorni.

Soddisfatti gli altri imputati. Il difensore di Eni, l’avvocato Nerio Diodà, ha definito la sentenza “un risultato di grande civiltà giuridica. Ci sono voluti tre anni di impegno e di confronti molto duri – ha aggiunto – ma questo è per tutti i cittadini del Paese un esito che garantisce una giustizia equilibrata”.

“Finalmente dopo 3 anni di processo, decine di udienze, migliaia di documenti analizzati e di testimonianze abbiamo una sentenza che restituisce a Caludio Descalzi la sua reputazione professionale e ad Eni il suo ruolo di azienda leader dell’energia e di orgoglio del nostro Paese”, ha aggiunto la professoressa Paola Severino, difensore dell’a.d. del gruppo petrolifero. Soddisfato anche il legale di Scaroni, l’avvocato Enrico de Castiglione: “Il Tribunale ha ritenuto quello che noi avvocati abbiamo ribadito per tutto il processo – ha detto – e cioè che non ci fossero dei motivi solidi per contestare il reato di corruzione internazionale”.

“Speriamo che sia finita questa barbarie – ha concluso il difensore di Scaroni, precisando che il manager è sotto processo da 12 anni per varie vicende ed è sempre stato assolto in tutti i gradi di giudizio e sempre con formula piena”.