Estorsioni, droga, scommesse clandestine: arrestate 33 persone, la base operativa in un bar
Blitz antimafia a Messina. Nel corso della notte carabinieri, guardia di Finanza e polizia di Stato hanno arrestato 33 persone e posto sotto sequestro diversi beni, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Messina, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia locale, per i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, sequestro di persona, scambio elettorale politico-mafioso, lesioni aggravate, detenzione e porto illegale di armi, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, con l’aggravante del metodo mafioso.
L’operazione è il risultato di autonome e convergenti indagini del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Messina, del G.I.C.O. del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Messina e della Squadra Mobile della Questura di Messina che hanno consentito di documentare l’attuale operatività dei sodalizi mafiosi operanti nella zona centro della città dello Stretto, nel settore delle estorsioni in danno di esercizi commerciali, del traffico di droga e del controllo di attività economiche nel campo della ristorazione, del gioco e delle scommesse su eventi sportivi.
La base operativa e logistica era un bar
In particolare, le indagini dei carabinieri di Messina hanno riguardato la consorteria mafiosa egemone nel rione messinese di “Provinciale” capeggiata dal noto esponente mafioso Lo Duca Giovanni, attiva, fra l’altro, nelle estorsioni e nel traffico di stupefacenti e hanno portato al sequestro di un bar utilizzato come base logistica dell’associazione mafiosa.
Le indagini della Guardia di Finanza di Messina hanno riguardato le attività del gruppo criminale capeggiato da Sparacio Salvatore, operante nel rione “Fondo Pugliatti”, documentando il controllo di attività economiche e portando al sequestro di una impresa operante nel settore del gioco e delle scommesse. Le indagini della Questura hanno riguardato il sodalizio mafioso capeggiato da De Luca Giovanni, attivo nel rione di ‘Maregrosso‘ nel controllo della sicurezza ai locali notturni e nel traffico di sostanze stupefacenti, sodalizio già oggetto dell’indagine ‘Flower’ conclusa nell’ottobre 2019.
Il boss di nuovo al vertice dopo 13 anni di carcere duro
Dopo 13 anni in carcere, in regime di 41 bis, Giovanni Lo Duca era tornato in libertà riprendendo le redini del sodalizio criminale, proponendosi quale riconosciuto punto di riferimento criminale sul territorio, capace di intervenire autorevolmente nella risoluzione di controversie fra esponenti della locale criminalità. É quanto accertato dalle indagini delle forze dell’ordine. Dopo quasi due anni di intercettazioni e servizi di osservazione, i carabinieri del Nucleo Investigativo hanno documentato come il sodalizio capeggiato da Giovanni Lo Duca operava mediante il sistematico ricorso all’intimidazione e alla violenza, con pestaggi e spedizioni punitive, per affermare la propria egemonia sul territorio e controllare le attività economiche della zona, nonché per recuperare i crediti derivanti sia dal traffico di sostanze stupefacenti che dalla gestione delle scommesse su competizioni sportive.
Controversie sul territorio, il boss si sostituisce allo Stato
Secondo le indagini il clan mafioso esercitava un controllo capillare del territorio, tanto che qualsiasi iniziativa assunta nel rione era assoggettata al preventivo ‘placet’ di lo Duca che si proponeva quale soggetto in grado di sostituirsi allo Stato nella gestione delle ‘vertenze’ sul territorio (in una circostanza, per esempio, è emerso come una donna del quartiere si fosse rivolta al Lo Duca per ottenere la liberazione del proprio figlio minorenne che era stato trattenuto contro la sua volontà da un pregiudicato del posto che lo voleva punire per delle offese pubblicate dal ragazzo su Facebook. Stando alle indagini, Lo Duca sarebbe intervenuto, ottenendo la ‘liberazione’ del ragazzo.
Summit criminali nella sala biliardo, un bar come sede operativa del clan
La base operativa del clan era il bar “Pino” gestito da Anna Lo Duca, sorella di Giovanni, il quale trascorreva le sue giornate presso tale esercizio commerciale, dove incontrava gli associati per pianificare le varie attività criminose della consorteria e ove veniva eseguita l’attività di raccolta di scommesse sportive in assenza di licenza e per conto di allibratore straniero privo di concessione. L’esercizio commerciale, poiché funzionale allo svolgimento delle attività criminali del clan, è stato sequestrato dai Carabinieri.È quanto emerge dall’operazione antimafia delle forze dell’ordine a Messina che ha portato all’arresto di 33 persone. La cosca mafiosa sgominata oggi dalle forze dell’ordine a Messina teneva, stando alle indagini, summit criminali nella sala giochi ‘Asd Biliardi sud’, centro nevralgico dei contatti tra Sparacio e Lo Duca. La sala biliardo solo formalmente risultava intestava a Letterio Cuscinà e Mario Alibrandi, ma di fatto riferibile a Sparacio e oggi sottoposta a sequestro. All’interno del locale, come accertato dal Gico e dalle fiamme gialle, si praticava il gioco d’azzardo, attraverso personal computer collegati tramite la rete internet con piattaforme di scommesse on-line aventi sede all’estero, che permettevano di accedere a giochi illeciti, offerti al di fuori del circuito autorizzato dai Monopoli dello Stato, nonché come, attraverso la forza di intimidazione promanante dall’associazione mafiosa, venisse imposto l’utilizzo delle medesime piattaforme software e delle stesse video slot ai vari gestori locali.Il ricorso a schermature societarie costituiva una costante di tutta l’indagine, emergendo come sempre riferibili a Sparacio risultassero anche un’ulteriore sala biliardi, in pieno centro di Messina, intestata a Scavuzzo Antoni, e un pub, anch’esso nel centro di Messina e solo formalmente intestato all’arrestato Cafarella Carlo.
Un candidato pagò il boss in cambio di voti
Un aspirante consigliere comunale, candidato alle elezioni del Comune di Messina, nel 2018, pagò una somma di 10mila euro a Salvatore Sparacio, boss arrestato oggi. Secondo le indagini, in base ad alcune intercettazioni, il candidato, risultato poi non eletto nell’assise cittadina, avrebbe pagato il boss in cambio di voti, per la propria scalata elettorale. L’accordo ha fruttato, stando alle indagini, 350 voti all’aspirante consigliere comunale.
Funerali del padre del boss in pieno lockdown
Secondo le indagini nell’aprile 2020 i funerali del padre del boss Sparacio fu celebrato in pieno lockdown e in violazione delle normative anti Covid. Il corteo funebre per Rosario Sparacio, fratello dell’ex boss pentito Luigi e padre di Salvatore, arrestato oggi, si è fermato proprio davanti alla sala biliardi, dove si tenevano i summit criminali.
Strategie condivise tra clan per controllo territorio
L’operazione, convenzionalmente denominata ‘Provinciale’ che ha portato a 33 arresti a Messina, ha evidenziato che i due gruppi criminali colpiti oggi hanno adottato strategie criminali condivise, operando in piena sinergia per il raggiungimento del controllo del territorio delle rispettive zone di appartenenza, ricadenti nei quartieri di Provinciale e Maregrosso. I due boss Giovanni Lo Duca e Salvatore Sparacio sono ritenuti soggetti di “elevatissimo” spessore criminale. La Dda ha scopreto un traffico di droga destinata alle piazze di spaccio dei quartieri di Provinciale, Fondo Fucile e Mangialupi. La droga veniva acquistata in provincia di Reggio Calabria e nella gestione del business il boss Giovanni Lo Duca operava insieme a Giovanni De Luca, esponente mafioso della zona di Maregrosso. Nell’organizzazione criminale, alcuni si occupavano dell’acquisto ‘All’ingrosso’ della droga, mentre altri esponenti erano incarticati delle attività di spaccio al dettaglio.
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