Brusca venne arrestato il 20 maggio del 1996 in una villetta vicino Agrigento dove si era rifugiato con il fratello dopo anni di latitanza
Fine pena oggi: dopo 25 anni di carcere Giovanni Brusca boss mafioso fra i più feroci e fedeli alla dottrina di sangue di Totò Riina torna ad essere un uomo libero, o meglio un pentito libero. Il boss che schiacciò il pulsante del telecomando dalla collinetta sopra Capaci, uccidendo il 23 maggio del 1992 il giudice Giovanni Falcone, la moglie magistrato Francesca Morvillo e tre agenti della scorta (Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani), che sciolse nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio undicenne del pentito Mario Santo Di Matteo, oggi pomeriggio è uscito dal carcere di Rebibbia dopo aver usufruito di uno sconto di pena per gli ultimi 45 giorni.
L’arresto di Brusca dopo la latitanza
Brusca venne arrestato il 20 maggio del 1996 in una villetta vicino Agrigento dove si era rifugiato con il fratello dopo anni di latitanza. Figlio di Bernardo Brusca, capo del mandamento di San Giuseppe Jato, dopo la sua morte ne ereditò il comando e il prestigio mafioso.
Per la fredda ferocia il suo delitto più terribile rimane quello del piccolo Di Matteo. “Allibertativi du cagnuleddu” (liberatevi del cagnolino), ordinò Brusca. Suo fratello Enzo Salvatore lo teneva per le braccia, Giuseppe Monticciolo per le gambe, Vincenzo Chiodo lo strangolò. Poi venne sciolto nell’acido. Fu uno dei tanti omicidi commessi e ordinati dal boss di San Giuseppe Jato che grazie al suo pentimento ha evitato l’ergastolo e ha scontato una condanna a trent’anni. Tale era il distacco nel commettere i più feroci delitti che quando gli chiesero quante persone avesse ammazzato, rispose: “Meno di duecento, il numero preciso non lo ricordo”.
Anche sul suo pentimento molti dubbi furono sollevati, sia per le molte mancanze, sia per il trattamento considerato troppo magnanimo per l’uomo che fece saltare in aria Falcone e la sua scorta, sciolse nell’acido il piccolo Di Matteo e si accusò di centinaia di omicidi. Fu vago e contradditorio sul papello e la trattativa, fu silente per anni sulla figura di Vito Ciancimino e Marcello Dell’Utri. Nei mesi scorsi la Cassazione respinse il ricorso del capomafia stragista che chiedeva di trascorrere l’ultimo periodo di detenzione ai domiciliari. Oggi Brusca ha finito di pagare il suo debito con la giustizia.
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