La moglie di uno degli agenti morti col giudice Falcone a 30 anni dalla strage: "Non dimenticare il sacrificio di mio marito"

“Lunedì alle 17.58 la mia mente e il mio cuore rivivranno per la millesima volta quei maledetti istanti, quel telefono che suona e dall’altra parte una voce che mi travolge, che mi ha catapultato in una vita che non mi sono scelta e che continuo ad onorare per non dimenticare il sacrificio di mio marito. E’ così da trent’anni, la mia vita è rimasta appesa a quel telefono che suona”. Anche dopo tre decine di commemorazioni Tina Montinaro, intervistata da LaPresse, non trattiene la commozione. Nella sua testa sono impressi a fuoco tutti i momenti di quella drammatica giornata in cui perse suo marito nella strage di Capaci. Antonio Montinaro era uno degli uomini della scorta di Giovanni Falcone. Morì nell’esplosione insieme al giudice, alla moglie Francesca Morvillo e ai colleghi Vito Schifani e Rocco Dicillo.

Una ferita che non guarirà mai, che Tina cerca di anestetizzare tenendo viva la memoria di Capaci, raccontando alle nuove generazioni cosa accadde alle porte di Palermo. Quattro giovani su dieci secondo un sondaggio Ipsos non condannano i comportamenti mafiosi. “Se i giovani sono attratti dalla mafia arrivando a considerarne alla moda le azioni e gli atteggiamenti la colpa è delle famiglie. Da trent’anni porto il 23 maggio e la strage di Capaci nelle scuole di tutta Italia. Non basta, come genitori dobbiamo assumerci la responsabilità di questo fallimento”. Una doccia fredda scoprire che dopo trent’anni la battaglia per la legalità è tutt’altro che vinta. “Portare le stragi a scuola, farle studiare, raccontare il dolore e la paura di quegli anni è fondamentale, ma non è sufficiente. Ogni anno spero di vedere le famiglie con i bambini accanto alle scolaresche durante le celebrazioni. Invece in prima linea da trent’anni ci sono le insegnanti”.

Tina Montinaro ha fondato la onlus Quartosavonaquindici, dalla sigla radio dell’auto di scorta di suo marito Antonio, per provare a trasformare il dolore in azioni concrete. Da anni porta in giro per l’Italia la carcassa della Fiat Croma distrutta a Capaci per sensibilizzare, per educare alla legalità, “per mantenere viva la memoria di quanto accadde a Capaci, per farlo conoscere alle nuove generazioni che quella stagione l’hanno vista solo nelle fiction” sottolinea Tina Montinaro che poi aggiunge: “C’è una questione morale che non può essere dimenticata solo perché certi personaggi hanno pagato il loro conto con la giustizia. La politica siciliana deve tornare a parlare di lotta alla mafia, ma soprattutto deve isolare chi ha avuto a che fare con la criminalità organizzata. Lo ripeto da trent’anni, non possono tornare ad essere protagonisti della vita pubblica. E’ un passo indietro che la Sicilia e Palermo non possono permettersi. Risentire i nomi di Cuffaro e Dell’Utri difesi e cercati da una parte della politica mi preoccupa molto” conclude Tina Montinaro condannando senza appello chi ha permesso il ritorno in politica dell’ex presidente della Regione Siciliana (condannato per favoreggiamento a Cosa nostra) e dell’ex braccio destro di Silvio Berlusconi, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

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