Al centro dell'inchiesta una serie di video sui social in particolare tik tok nei quali lo stesso 25enne pakistano si presentava vestito con tunica nera prendendo un machete e mimando il gesto di tagliare la gola
Sono sei in tutto gli arresti operati in Italia nell’ambito dell’operazione antiterrorismo della Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Genova, con arresti in Italia e all’estero, nei confronti di cittadini pakistani inseriti nel circuito relazionale legato agli autori dell’attacco alla ex sede della rivista satirica Charlie Hebdo.
Gli arresti sono stati due a Genova, uno a Firenze uno a Reggio Emilia, uno a Bari e uno a Treviso.
“Fammi lavorare due mesi e poi troviamo la nostra tana, due mesi e comincio a comprare le armi”. C’era anche questo in una delle intercettazioni degli inquirenti, coordinati dalla procura di Genova, frasi finite nell’indagine antiterrorismo di matrice jihadista che ha portato agli arresti di oggi in tutta Italia di un gruppo di cittadini pachistani legati a uno degli attentatori che nel 2020 a settembre attaccò la sede di Charlie Hebdo a Parigi. Le parole sono quelle pronunciate da un 25enne pakistano residente a Chiavari e poi spostatosi a Reggio Emilia per motivi di lavoro, uno dei 6 arrestati oggi dalla polizia. L’accusa è quella di aver tentato di costituire cellule operanti sul territorio italiano. Un primo passo che avrebbe potuto portare ad azioni violente.
La Questura di Genova ed il Servizio per il Contrasto all’Estremismo e Terrorismo Esterno della Polizia di Stato hanno svolto, dalle prime ore di questa mattina, una vasta operazione internazionale di contrasto al terrorismo di matrice jihadista con l’esecuzione di 14 ordinanze di custodia cautelare in carcere, disposte dall’Autorità Giudiziaria del capoluogo ligure, nei confronti di cittadini pachistani accusati di associazione terroristica internazionale.
Al centro una serie di video sui social in particolare tik tok nei quali lo stesso 25enne pakistano si presentava vestito con tunica nera prendendo un machete e mimando il gesto di tagliare la gola.
Il punto di svolta nelle indagini è stato il suo rientro in Italia, nell’aprile dello scorso anno, data Francia dove era stato arrestato due mesi prima per porto in luogo pubblico di un grosso coltello. Gli approfondimenti effettuati sui suoi profili social hanno consentito di individuare un’ampia pubblicazione in rete di video e post apologetici e violenti che ha costituito il punto di partenza di un complesso iter investigativo che ha svelato l’esistenza e l’operatività, in diverse province italiane e in alcuni Paesi europei, di una cellula terroristica riconducibile ad un più ampio gruppo di giovani pakistani, auto-denominatosi “Gruppo Gabar”, tutti facenti parte dei contatti diretti dell’attentatore di Charlie Hebdo.
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