Generalmente di sesso maschile e violento: è quanto emerge dal rapporto 'Le gang giovanili in Italia'

Maschio, giovanissimo e violento. E’ l’identikit medio dei componenti delle baby gang, secondo lo studio interuniversitario appena pubblicato che accende un faro sul fenomeno.

I dati confermano i racconti che arrivano dalle cronache, ultime in ordine di tempo le operazioni che hanno portato, all’alba di oggi, a diversi arresti tra Milano e Bergamo. Ne emerge un quadro di bande che agiscono da nord a sud, prevalentemente nelle città: piccoli gruppi di una decina di adolescenti o appena maggiorenni, senza veri capi, che picchiano e bullizzano loro coetanei, cercando spesso la fama sui social. Le gang arrivano ad ispirarsi alle mafie o a gruppi esteri e in alcuni casi la violenza è accompagnata da rapine e droga.

Il rapporto si intitola ‘Le gang giovanili in Italia’ ed è stato realizzato da Transcrime, il centro di ricerca interuniversitario sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Alma Mater Studiorum Università di Bologna e Università degli studi di Perugia, in collaborazione con il Servizio analisi criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell’Interno e il dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia.

Le informazioni alla base del rapporto sono state raccolte dalle cronace e tramite questionari somministrati ai comandi provinciali dell’Arma, alle questure e agli uffici di servizio sociale per i minorenni (Ussm).

Sul tema interviene Cinzia Mammoliti, criminologa ed esperta di psicopatologia criminale, che contattata da LaPresse, evidenzia: “Nei confronti dei singoli ragazzi occorre tentare un dialogo attraverso una rete di educatori e dare loro riconoscimento, uno scopo. Spiegare loro come declinare in modo positivo e creativo le energie.
Quanto al fenomeno in generale, “sarebbe opportuno non dare troppo risalto mediatico ai singoli episodi perché questi giovani cercano proprio questo: visibilità”.

Infine lo studio evidenzia come la pandemia abbia avuto un forte impatto sulla quotidianità dei ragazzi, “causando un peggioramento delle condizioni oggettive e soggettive di benessere personale” e è “influente anche l’uso dei social network come strumento per rafforzare le identità di gruppo e generare processi di emulazione o auto-assolvimento”.

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