Sono la Provincia Autonoma di Bolzano, l'Emilia-Romagna e la Val d'Aosta. La Basilicata la più carente in termini di servizi
Tra le regioni più “amiche delle mamme”, spiccano ai primi posti dell’Indice generale la Provincia Autonoma di Bolzano (118,8), l’Emilia-Romagna (112,1) e la Valle d’Aosta (110,3) rispettivamente al primo, secondo e terzo posto dell’Indice generale. Tutte e tre superano di ben 10 punti il valore di riferimento nazionale di 100, seguite da Toscana (108,7), Provincia Autonoma di Trento (105,9), Umbria (104,4), Friuli-Venezia Giulia e Lombardia (entrambe 104,2), che invece lo superano di poco. Lo si riporta l’ottavo report “Le Equilibriste”, pubblicato dall’organizzazione umanitaria Save the children. Fanalino di coda dell’Index generale le regioni Basilicata (84,3), Campania (87,7), Sicilia (88,7), Calabria (90) e Puglia (90,6), che occupano rispettivamente dalla 21ma posizione alla 17ma e sono sotto il valore di riferimento di almeno 10 punti, scontando una strutturale carenza di servizi e lavoro nei propri territori, a testimonianza di un investimento strategico da realizzare proprio in queste regioni.
Save the Children da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro, e il rapporto “Le Equlibriste” diffuso oggi in prossimità della Festa della Mamma, traccia un bilancio aggiornato delle molte sfide che le donne in Italia devono affrontare quando diventano mamme. Come ogni anno, lo studio include anche l’Indice delle Madri, elaborato dall’ISTAT per Save the Children, una classifica delle Regioni italiane stilata in base alle condizioni più o meno favorevoli per le mamme.
Come viene stilata la classifica
Quest’anno l’Indice si arricchisce di nuove e più complete dimensioni, con ulteriori indicatori, che comprendono la sfera del lavoro, come quella della demografia e della scuola, la salute (mortalità infantile e consultori), la violenza sulle donne, la partecipazione politica a livello locale, oltre al grado di soddisfazione personale. È la Provincia Autonoma di Bolzano a guidare questa particolarissima classifica dei territori amici delle madri, seguita da Emilia Romagna e Valle D’Aosta, mentre le condizioni più sfavorevoli per le mamme si registrano in Basilicata, preceduta appena in fondo alla classifica da Sicilia e Campania.
L’Indice delle madri per regione è il risultato di una analisi basata su sette dimensioni: demografia, lavoro, servizi, salute, rappresentanza, violenza, soddisfazione soggettiva, per un totale di 14 indicatori da diverse fonti del sistema statistico nazionale.
La dimensione della Demografia
Per quanto riguarda l’area della Demografia, l’indice vede tra le regioni più virtuose la Provincia Autonoma di Bolzano (138,5), nettamente sopra valore di riferimento fissato a 100 e quella di Trento (114,5), seguite da Sicilia (112,8), Campania (111,1) e Calabria (106,8). Al contrario, Sardegna (78,5), Basilicata, Molise (entrambe 90,5) e Umbria (94), registrano tassi molto al di sotto del valore nazionale, occupando gli ultimi posti dell’Indice.
La dimensione del Lavoro
L’Emilia-Romagna (109,1), il Piemonte (108,9), la Valle d’Aosta (107,9) e la Lombardia (106,2), occupano i primi posti nell’area Lavoro. Regioni dove, per le madri è più facile trovare un impiego, non subire riduzioni di orario non volontarie o tenere un lavoro dopo la nascita di un figlio. Di contro, Sicilia (81), Basilicata (82,2) Calabria (82,4) e Campania (83,4) non forniscono dati incoraggianti sull’occupazione delle mamme, posizionandosi nella zona più bassa dell’Indice.
La dimensione della Rappresentanza
Nell’area della Rappresentanza, relativa alla percentuale di donne in organi politici a livello locale per regione, Umbria (128,4), Veneto (123,4), Toscana (122,8), Emilia-Romagna (117,4) occupano i primi posti. In Basilicata (68,4), Valle d’Aosta (80,3), Sardegna (83,7) e Puglia (84,5) invece, la rappresentanza femminile è ben al di sotto del valore di riferimento nazionale. Emblematico il caso della Basilicata a più di 30 punti sotto la media.
La dimensione della Salute
Nell’area Salute, spiccano regioni come Valle d’Aosta (140,9) con ben 40 punti in più valore di riferimento nazionale, Provincia Autonoma di Bolzano (117,6), Emilia-Romagna (110,4) e Toscana (110,2), mentre Calabria (88,6) e Campania (91,4) si posizionano agli ultimi posti con valori al di ben sotto di quello di riferimento, precedute a breve distanza da Molise (95,3), Sicilia (95,8) e Lazio (95,5).
La dimensione dei Servizi
Le Province Autonome di Trento (131,3) e Bolzano (126,3), rispettivamente al primo e secondo posto nell’area Servizi, sono le regioni più virtuose per i servizi offerti alle mamme e ai loro bambini (asili nido, mense scolastiche, tempo pieno), seguite da Valle d’Aosta (122,2), Emilia-Romagna (119,3) e Toscana (118,9). Nell’Area Servizi, è la Sicilia (75,8) a posizionarsi all’ultimo posto preceduta da Campania (78,3), Calabria (80,4) e Puglia (82), regioni dove l’offerta di servizi è discontinua o assente.
La dimensione della Soddisfazione soggettiva
Le regioni dove l’area della Soddisfazione Soggettiva delle mamme raggiunge livelli più alti del valore di riferimento nazionale (100) sono nuovamente le Province Autonome di Bolzano (132,4) e Trento (125,7), seguite da Umbria (116,7), Piemonte (111,7), Valle d’Aosta (109,7) e Molise (104,4). Le regioni, invece, dove le mamme sono decisamente meno soddisfatte sono Calabria (82,1) e Sicilia (82,4) precedute da Campania (85), Basilicata (85,1) e Puglia (95,8).
La Dimensione della Violenza
Basilicata (71,7) e Provincia Autonoma di Trento (84,2) si posizionano agli ultimi posti nell’area Violenza, precedute a stretto giro da Campania (84,8), Sicilia (85,9), Puglia (90,1) e Lazio (91,3). Le regioni più virtuose per quanto riguarda la presenza di centri antiviolenza e case rifugio sono invece Friuli-Venezia Giulia (131,7) e Provincia Autonoma di Bolzano (130,3) con uno stacco di più di 30 punti sul valore di riferimento nazionale, seguite da Molise (127,2), Valle d’Aosta (125,2), Emilia-Romagna (121) e Abruzzo (120).
Il lavoro di cura di madri e padri
Cinque ore e 5 minuti al giorno è il tempo dedicato dalle donne in Italia al lavoro non retribuito di cura domestica e della famiglia, contro un’ora e 48 minuti degli uomini. Il 74% di questo carico grava quindi su di loro, e anche quando contribuiscono al reddito e al lavoro tanto quanto gli uomini, dedicano alla cura 2,8 ore in più di loro, che salgono a 4,2 quando ci sono i figli. Ma, come sottolinea il rapporto Le Equilibriste, in un approfondimento dedicato ai papà, tra le pieghe del ménage familiare si intravede un trend finalmente positivo. Anche se la maternità interferisce direttamente con l’accesso al mercato del lavoro delle donne, mentre la paternità spinge i padri a lavorare ancora di più, questi ultimi manifestano una crescente esigenza di conciliazione tra lavoro e famiglia. Lo dimostra il numero maggiore dei padri che usufruiscono del congedo di paternità introdotto nel 2012, che dal 2013 sono quadruplicati raggiungendo quota 155.845 nel 2021, contro i 50.500 del 2013, per un tasso di utilizzo che è passato dal 19,23% al 57,6% . Recentemente, anche si tratta di numeri per ora minimi, va notato che tra le convalide di dimissioni dal lavoro per motivi di conciliazione con la cura familiare il numero dei padri è passato dai 743 del 2020 a 1.158 del 2021.
Il 2022 minimo storico delle nascite in Italia
Il 2022 ha sancito il minimo storico delle nascite in Italia, -1,9% per 392.598 registrazioni all’anagrafe. Una contrazione della natalità che accompagna l’Italia da decenni e che ormai coinvolge anche la componente straniera della popolazione. Le donne hanno meno figli o non ne hanno affatto: i primi figli nati nel 2021 sono il 34,5% in meno di quelli che nascevano nel 2008, con una contrazione anche del numero di figli nati da entrambi i genitori stranieri, che si è fermato a quota 56.926 nel 2021 (era 79.894 nel 2012). E’ quanto si legge in una nota di Save The Children che ha reso pubblici gli esiti dell’ottavo rapporto “Le Equilibriste”. Il 12,1% delle famiglie con minori nel nostro Paese (762mila famiglie) sono in condizione di povertà assoluta, e una coppia con figli su 4 è a rischio povertà[3], in uno scenario generale nel quale il numero di nuovi nati e di neomamme sono in picchiata, ma non c’è da stupirsi. In Italia, infatti, la coorte di donne in età fertile è diminuita nei decenni e si diventa madri sempre più tardi: l’età media al parto è di circa 32 anni, una delle più alte in Europa, e già nel 2019 l’8,9% dei primi parti riguardava madri ultraquarantenni. Se il rinvio della maternità e la bassa fecondità sono frutto di numerose concause, c’è una relazione diretta e positiva tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità. Il mercato del lavoro sconta ancora un gap di genere fortissimo.
Il divario lavorativo tra uomini e donne
Nel 2022, pur segnando una leggera decrescita, il divario lavorativo tra uomini e donne si è attestato al 17,5%, ma è ben più ampio in presenza di bambini: nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali, prosegue Save the Children. Pesano anche, e molto, differenze geografiche e titolo di studio. Nel Mezzogiorno l’occupazione delle donne con figli si arena al 39,7% (46,4% se i figli non ci sono), contro il 71,5% del Nord (78,9% senza figli), e in Italia le madri laureate lavorano nell’83,2% dei casi, ma le lavoratrici sono molte meno tra chi ha il diploma della scuola superiore (60,8%) e precipitano al 37,4% se c’è solo la licenza media. Quando il lavoro per le donne c’è, un terzo delle occupate ha un contratto part-time (32% dei casi contro il 7% degli uomini); se ci sono figli minorenni la quota sale al 37%, a fronte del 5,3% dei padri, e con una metà quasi di queste mamme (15%) che si è vista costretta ad un part-time involontario, che non ha scelto. Un quadro poco favorevole alle madri lavoratrici emerge anche dai dati raccolti dall’INL sulle dimissioni: nel 2021, “delle 52.436 convalide totali, 37.662 (il 71,8%) si riferiscono a donne (madri) e 14.774 (28,2%) a uomini (padri)”, e la percentuale delle madri sale oltre l’81% tra giovani fino a 29 anni. Tra gli uomini il 78% delle dimissioni è legato al passaggio ad altra azienda e solo il 3% alla difficoltà di conciliazione tra lavoro e attività di cura, mentre per le donne questa difficoltà rappresenta complessivamente il 65,5% del totale delle motivazioni. Il gap lavorativo per le donne legato a genere e genitorialità è purtroppo ancora molto marcato nel nostro Paese, ancor più se si considerano le famiglie monogenitoriali (2,9 milioni nel 2021, il 17% del totale dei nuclei; nell’80% dei casi composte da madri single). Madri che si stima nel 44% dei casi vivano in una condizione di povertà, più diffusa tra chi ha un basso livello di istruzione (65%), rispetto a chi ha conseguito un livello di istruzione medio (37%) o alto (13%).
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