Non c'è ancora un'ampia letteratura scientifica che spieghi perché esista la possibilità di chiudere l'auto non accorgendosi di aver lasciato i bimbi all'interno
Si chiama ‘forgotten baby syndrome’, Fsb, il fenomeno per il quale i bambini vengono ‘dimenticati’ nelle auto parcheggiate. Nel caso della piccola, deceduta oggi a Roma, potrebbe trattarsi di questa sindrome. Il genitore, convinto di aver accompagnato la figlia a scuola, parcheggia, chiude l’auto e va via.
Non vi è ancora, a oggi, una ampia letteratura scientifica sul perché ciò accada, sul motivo per il quale si crea un vuoto di memoria che fa saltare un ‘passaggio’ nelle cose da fare, dandole come ‘compiute’.
Secondo uno studio dei ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze Umane, Sapienza Università di Roma, pubblicato su ‘Rivista di psichiatria’ sul numero di marzo-aprile 2020, il monitoraggio del fenomeno negli Stati Uniti ha mostrato, su un totale di 171 casi, che il 73% riguardava bambini che erano stati lasciati in macchina da persone adulte. “La metà degli adulti era inconsapevole, o se ne era dimenticato. Nella maggior parte dei casi tali episodi coinvolgono soggetti adulti che hanno funzionalità psichiche e cognitive perfettamente integre”, scrivono i ricercatori.
Le cause del perché avvenga “non sono tali da essere riferibili in senso univoco e lineare a condizioni di rilevanza psicopatologica”. L’unico dato desumibile dalle specifiche ricerche è quello per cui si tratta dell’esito di un deficit (per lo più transitorio), della performance di memoria, in particolare della memoria di lavoro (working memory – Wm). In pratica un vuoto di memoria di cui ancora non si conoscono le cause.
Esistono circostanze che i ricercatori definiscono “transitorie” che possono incidere sulle performance della cosiddetta memoria di lavoro. Le conclusioni cui giunge lo studio indicano che “i casi di morte di minori in seguito all’abbandono all’interno di veicoli da parte di adulti possono essere connessi all’alterazione del normale funzionamento della funzionalità di memoria di lavoro”. Un buco nero di cui ci si accorge spesso troppo tardi.
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