Le vittime sono in calo ma comunque il fenomeno "non è trascurabile" dicono gli esperti: 20 morti solo quest'estate
Maschi, giovani e stranieri. Ecco il profilo di chi annega più di frequente nelle acque italiane dopo un’estate che solo fino ad oggi ha fatto registrare oltre 20 vittime di cui 7 bambini. Un lungo elenco di casi e vite spezzate per annegamento: l’ultimo quello del giovane disperso nel Lago Morto a Vittorio Veneto da venerdì per il quale sono in corso le ricerche. Nelle settimane precedenti – fra le tante tragedie – un 17enne annegato a Marina di Lesina sotto gli occhi del padre, un ragazzo pakistano è affogato il 3 agosto nelle acque del fiume Sesia nel vercellese, un bimbo di 4 anni in una piscina di Monopoli.
Sono in calo le morti in acqua dolce, salata o al cloro ma comunque “fenomeno non trascurabile” afferma a LaPresse il professor Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale, che ha raccolto ed elaborato i numeri provenienti dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sono dai 300 ai 400 i morti per annegamento all’anno in Italia (negli anni Sessanta si stimavano 1.400 decessi). Negli ultimi tempi aumentano le vittime nelle acque interne (laghi e fiumi) con il 41% degli incidenti fatali contro il 42% dei litorali marini e il restante 17% tra mare aperto e piscine. Le regioni che hanno registrato il maggior numero di incidenti in acqua (fatali e non) sono Lombardia (13%), Emilia Romagna (9,6%) e Veneto (9,3%).
Tra le cause malattie, scarsa conoscenza dei fondali, inesperienza e assenza di prevenzione pubblica. “Nei paesi sviluppati i principali fattori di rischio per annegamento sono il consumo di alcol, la mancata sorveglianza, la presenza di patologie, la carenza di un’istruzione natatoria adeguata”, spiega Miani. Che illustra i profili di rischio: “Le vittime sono per lo più uomini in rapporto 7 a 1 rispetto alle donne” con la “fascia di età più colpita fra i 45 e 64 anni”. Situazione diversa nel resto del mondo: è il mare il principale responsabile di annegamento (50,3%), mentre il 41,3% dei decessi avviene nelle acque interne e l’8,3% in piscina. Il 28% di annegamenti e quasi-annegamenti dipendono da malori improvvisi, il 15% da sventatezza, il 14% delle cause sono per caduta in acqua, il resto imperizia, incapacità di tenersi a galla, tuffi sconsiderati dove il fondale è basso o roccioso. Ogni anno nel mondo 236mila persone muoiono per annegamento, per un totale di circa 2,5 milioni di morti nell’ultimo decennio. Le vittime più frequenti sono i bambini tra gli 1 e 4 anni – secondo banche dati dell’Oms – seguiti da quelli di età compresa tra 5 e 9 anni. In Italia si eseguono invece 70mila interventi di salvataggio all’anno.Oltre a patologie e consumo di sostanze un ruolo ce lo hanno anche gli sport estremi e le condizioni ambientali: “Lo shock termico è tra le principali cause di malore – dice il presidente Sima – Una lunga esposizione al sole e poi un tuffo in acqua può generare svenimento o perdita dei sensi, se si è anche mangiato, congestione. Avventurarsi in specchi d’acqua di cui non si conoscono le caratteristiche può generare panico soprattutto se all’imbrunire o al buio e il non vedere il fondo e perdere i punti di riferimento aumenta la sensazione di paura con ciò che ne consegue”.
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