Senza la madre, i cuccioli dell’orsa Amarena potrebbero rappresentare un pericolo per l’uomo. Lo ha detto a LaPresse il professor Andrea Mazzatenta, neurofisiologo dell’Università ‘G. D’Annunzio’ di Chieti-Pescara, in merito alla vicenda dell’orsa uccisa la scorsa settimana nel Parco Nazionale d’Abruzzo. “La perdita della madre espone i cuccioli a una lunga serie di pericoli. E dunque gli orsetti, da soli, sono destinati purtroppo alla morte. Se però un individuo riuscisse a sopravvivere potrebbe sviluppare comportamenti anomali perché non ha esperienza. Potrebbe sperimentare ad esempio altre fonti alimentari e determinare un conflitto con l’uomo. O ancora, un orso che cresce nella paura, laddove possa ritrovarsi davanti un umano in posizione eretta, potrebbe reagire in maniera aggressiva interpretandola come una minaccia“, ha dichiarato l’esperto. “Purtroppo per i cuccioli il loro destino è quasi segnato. Anche perché non abbiamo delle nursery”, ha aggiunto. Il professor Mazzatenta, esperto di olfatto umano e animale, nonché autore del primo lavoro al mondo sul bouquet feromonale degli orsi, osserva che “gli orsetti stanno con la madre perché la mamma non è una banale fonte di cibo con l’allattazione, ma è quella che insegna tutto, seguendoli nello sviluppo. Fornisce l’imprinting alimentare legato a una base olfattiva e gustativa – osserva -. Loro imparano dalla madre ad alimentarsi nelle varie stagioni. Altro ruolo fondamentale della madre è quello di insegnare a riconoscere i pericoli, e quindi il rapporto con le altre specie, come cinghiali, cervi, lupo, ma anche con l’uomo. Insomma, la guida materna è una fonte inestimabile di informazioni per i cuccioli”.
Sul rapporto tra orsi ed esseri umani, Mazzatenta spiega: “Siamo disabituati alla convivenza con la fauna selvatica. E questo genera comportamenti spesso errati che possono determinare una reazione aggressiva o difensiva nel selvatico. Serve cristallizzare in buone pratiche delle metodiche di protezione dal conflitto antropico che al momento sono limitate a brevi progetti. Ci vuole tanta educazione, a partire dai più piccoli per poi coinvolgere tutti quanti”.