La testimonianza 'cristallizzata' nell'incidente probatorio: "Calci, pugni. Poi lo hanno buttato di sotto"

“Calci, pugni e poi lo hanno buttato di sotto”. Così, durante l’incidente probatorio che si è tenuto ieri davanti al giudice, la sorella di Hasib Omerovic ha confermato le accuse nei confronti dei quattro poliziotti indagati. Il 33enne, sordomuto di etnia rom, venne trovato in fin di vita sotto la finestra della sua abitazione, il 25 luglio del 2022, dalla quale era precipitato da un altezza di dieci metri. La ragazza, presente nell’appartamento di via Gerolamo Aleandro a Primavalle al momento dell’irruzione dei poliziotti, considerata una “supertestimone”, ha confermato tutte le accuse.

La donna, durante il confronto con i magistrati e con gli avvocati, ha ribadito che uno dei quattro agenti, avrebbe picchiato il fratello per poi scaraventarlo dalla finestra, dopo avergli legato i polsi con il filo elettrico di una lampada da tavolo. Gli altri tre agenti, in servizio al Distretto di Polizia di Primavalle, secondo la sorella della vittima, erano presenti nella stanza dove sarebbe avvenuto il pestaggio. Ma secondo i legali difensori, il racconto della testimone è stato confuso, a tratti contraddittorio, e lacunosa la dichiarazione riguardo alla sua posizione dentro la casa, rispetto a dove si sarebbe svolto il tutto. Nei confronti di uno degli agenti, l’unico a cui venne notificata a dicembre scorso un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, il procuratore aggiunto Michele Prestipino e il sostituto Stefano Luciani, contestano il reato di tortura, mentre agli altri colleghi il reato di falso in atti pubblici per l’annotazione di servizio, redatta dopo il blitz in casa Omerovic, considerata falsa e poco attendibile.

La ricostruzione di ieri, “cristallizzata” davanti al giudice per l’udienza preliminare, verrà utilizzata come prova durante l’eventuale processo. Durante l’incidente probatorio, sono state mostrate alla ragazza le foto, oltre che dell’appartamento dove sarebbe avvenuto il pestaggio, anche del manico di scopa utilizzato per picchiare il giovane rom e delle porte di legno che sarebbero state scardinate dal poliziotto. L’agente, principale indagato in tutta la vicenda, è tornato in libertà nel mese di giugno, dopo sei mesi di detenzione domiciliare.

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