Già nel 2014 la ricevuta con l'effige del duce suscitò indignazione, oggi il suo volto è diventato il "simbolo" del locale
Nel ‘Bar Armando’ di Cerea, in provincia di Verona, vengono rilasciati scontrini con la faccia di Benito Mussolini. Come riporta La Voce di Rovigo, “è una controversia che va avanti da nove anni”, ma se all’inizio era uno scontrino emesso ‘solo’ per ricordare la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, ora quella immagine è diventata la “firma” del bar.
A gestire il locale sono Marica Bologna e la madre Maristella Finezzo. Lo scontrino della discordia ha ‘spaccato’ il paese tra chi lo trova di cattivo gusto per la commemorazione al duce e chi, invece, ha ritenuto di mostrare ‘solidarietà’ alle due donne che, nel bar conservano cimeli del periodo fascista.
Già nel 2014 la ricevuta con l’effige di Mussolini suscitò indignazione in tutto il paese. Oggi, questo scontrino è tornato sotto i riflettori a causa di una nuova ricevuta che è stata diffusa sui social media, scatenando reazioni di ogni genere. Mentre alcuni condannano fermamente l’utilizzo dell’immagine di Mussolini, ritenendolo un richiamo al Fascismo, altri lo approvano in segno di solidarietà verso le due bariste che espongono cimeli del periodo fascista nel loro locale.
“Chi mi accusa di essere fascista mi fa solo piacere. Non nascondo i miei ideali, sono orgogliosa di loro”, ha detto Finezzo. “Se dal 2014 non ci sono stati provvedimenti giudiziari per vietarci l’uso del volto di Mussolini sugli scontrini, significa che non stiamo commettendo alcun reato. Con questa polemica, in realtà, otteniamo solo più visibilità”, ha aggiunto.
L’apologia del fascismo, nell’ordinamento giuridico italiano, è un reato previsto dall’art. 4 della legge Scelba attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Per apologia del fascismo si intende quell’insieme di azioni e comportamenti diretti alla ricostruzione del partito fascista.
Si prevede la reclusione fino a un anno e sei mesi o la multa fino a 6.000 euro per chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi: La reclusione da sei mesi a quattro anni per chi incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
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