Flavia Brevi, responsabile comunicazione della Fondazione, intervistata da LaPresse torna anche sulle parole di Meloni: "Non possiamo più ripetere ciò che dicevano le nostre madri"
“Per noi si è trattato di un fatto molto grave, quelle del pm sono parole davvero infelici perché la violenza di genere si combatte agendo sulla cultura non usando la cultura come alibi”. Così a LaPresse Flavia Brevi, responsabile della comunicazione dell’associazione Libellula, commentando il caso in cui a Brescia un pm ha chiesto l’assoluzione per un uomo, originario del Bangladesh, accusato di maltrattamenti verso la moglie perché “i contegni di compressione delle libertà morali e materiali (…) sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza”, dicendo che “la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura” . Secondo la Fondazione Libellula, con queste parole “si è deresponsabilizzato l’uomo e si scoraggiano le donne dal denunciare. Questa donna era più che consapevole e ha denunciato, non possiamo agire scoraggiando chi vuole farlo”.
“Se ci mettiamo anche personalità pubbliche che trovano attenuanti e scuse avremo sempre meno donne che denunciano. Le donne stanno aprendo sempre di più gli occhi, ora bisogna farli aprire anche agli uomini“, dice senza mezzi termini la referente di Fondazione Libellula. La Fondazione Libellula è nata nel 2020 da un progetto, partito nel 2017, per prevenire e contrastare la violenza nei confronti delle donne e le discriminazioni di genere.
Il ruolo della cultura
“La cultura d’origine non c’entra, è cittadina italiana, è successo in suolo italiano, si applicano le leggi italiane. Mi voglio augurare che le leggi italiane non prevedano un alleggerimento per la cultura, ogni cultura e tradizione è spesso discriminatoria” dice ancora Flavia Brevi. “Ovviamente la speranza è che questa non sarà la sentenza, sono solo le parole della procura, ci auguriamo le cose vadano diversamente – spiega ancora Flavia Brevi – anche perché una frase del genere annulla chi lavora come noi in ambito culturale nei posti di lavoro, nelle scuole, sul territorio”. Vale anche per i casi come quelli dei matrimoni forzati? “Certo, è la stessa cosa. Le leggi sono italiane, quelle si applicano, anche in casi come quello di Saman Abbas“.
L’importanza della formazione
“Noi lavoriamo con gli ospedali per formare il personale affinché capisca quando c’è un segnale di violenza che va oltre il segnale fisico, per intercettare espressioni del viso, parole, messaggi subliminali, sapere che domande fare e quando farle. Ma ci sarebbero molte categorie professionali da formare: forze dell’ordine, e anche conducenti dei mezzi pubblici per esempio, è una cosa importante. Anche i giornalisti“, propone Brevi. “Dobbiamo agire nelle scuole, così allevieremo, si spera, il problema in futuro. Dobbiamo avere anche dei punti antenna nel territorio per intercettare dei casi di bisogno”. Bisogna anche essere consapevoli del fatto che “tutte e tutti siamo pieni di pregiudizi” e quindi formarsi e aggiornarsi, spiega ancora la referente della Fondazione Libellula: “È come un aggiornamento tecnologico, dovremmo vederlo così, dovrebbe essere presa allo stesso modo la formazione, non come un attacco”, conclude Brevi. In riferimento alle parole di Giorgia Meloni sul compagno Giambruno aggiunge: “Non possiamo più parlare delle raccomandazioni delle nostre madri, abbiamo nuovi dati e consapevolezza quindi dobbiamo cambiare ed evolvere”. “Dobbiamo essere consapevoli che nessuno e nessuna di noi è scevra di pregiudizi e discriminazioni che stanno poi alla base di affermazioni come queste del pm di Brescia. Non possiamo pensare che ci siano aree dove non c’è la discriminazione di genere, c’è dappertutto, nelle leggi, nelle scuole, nei libri. L’unico elemento, l’unica possibilità, è unirci nella decostruzione di questi stereotipi”.
Fondazione Libellula, due anni fa, ha realizzato un’indagine che si chiamava ‘Indagine Lei’: “Era emerso che 1 donna su 2 dichiarava di essere stata vittima di discriminazioni o molestie sul lavoro. già questo fa capire la portata del fenomeno, perciò è importante agire su più livelli e ambienti culturali. Il luogo di lavoro, per esempio, deve diventare sicuro e luogo di ascolto, chi è vittima di violenza domestica per esempio può trovare nel lavoro un luogo dove parlare e raccontare”.
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