Da questa mattina è in corso la prima udienza del processo d'Appello

Era il 3 giugno del 2001, quando a distanza di 48 ore dalla scomparsa, la 18enne Serena Mollicone, studentessa di liceo, venne trovata morta in un bosco della Ciociaria. Il cadavere era stato adagiato in un cespuglio, coperto da foglie e rami, con le mani e le caviglie legate con della carta da pacchi. Sulla testa era stata infilata una busta di nylon.

Gugliemo Mollicone, il padre di Serena, nella denuncia che presentò ai carabinieri, subito dopo la sua scomparsa, raccontò che a mattina del primo giugno Serena doveva andare all’ospedale di Isola del Liri, per effettuare un’ortopanoramica ai denti. Dopo l’esame radiografico, salì su un bus per Arce e venne avvistata nella piazza principale del paese. La domenica successiva, il 3 giugno un gruppo di volontari della Protezione civile avvistò il cadavere della ragazza nel bosco di Fonte Cupa ad Anitrella, distante 8 km da Arce, in un punto dove la sera prima i carabinieri avevano controllato non trovando nulla.

L’anno successivo, nel settembre del 2002, venne indagato dalla procura di Cassino, che aveva delegato le indagini alla polizia, il carrozziere Carmine Belli di Rocca d’Arce ritenuto dagli investigatori colui con cui si sarebbe dovuta incontrare Serena. L’uomo venne arrestato con l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere ma nel 2004 venne definitivamente assolto dalla Cassazione. Le indagini vennero riaperte nel 2018 e venne interrogato Santino Tuzi, un brigadiere dei carabinieri in servizio alla stazione di Arce che fu l’ultimo a vedere in vita Serena Mollicone. Il sottufficiale si suicidò con un colpo di pistola poco dopo.

Con le nuove indagini vennero iscritte sul registro degli indagati cinque persone, tra cui l’ex comandante della stazione dei Carabinieri di Arce, Franco Mottola, la moglie Anna Maria, il figlio Franco e altri due carabinieri, il vice maresciallo Vincenzo Quatrale e l’appuntato Francesco Suprano. Da una superperizia medico legale e cinematica, emerse che a causare la morte di Serena non fu uno strangolamento, ma un violento colpo che gli venne sferrato in testa dal contatto con una porta, compatibile con quella, presente all’epoca dei fatti, nell’alloggio di servizio, sopra la stazione dei carabinieri di Arce, dove viveva il comandante con la famiglia. Dopo il processo di primo grado davanti alla corte d’Assise d’Appello di Cassino i cinque vennero assolti. La procura e le parti civili presentarono ricordo. Da questa mattina è in corso la prima udienza del processo d’Appello.

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