I dati del progetto Viva analizzati in anteprima da LaPresse, insieme ai dati raccolti dai Cam. La psicologa: "Percorso per violenti è disintossicazione come per alcolisti", la criminologa: "Non esiste identikit del maltrattante"

Nei Cuav ‘solo’ l’8% degli uomini ha dipendenze patologiche e ‘solo’ il 4% ha problemi di salute mentale. Lo rileva la seconda indagine nazionale sui Centri per uomini autori di violenza del progetto Viva, con Cnr-Irpps e il Dipartimento per le Pari Opportunità della presidenza del Consiglio, che sarà presentato in questi giorni in vista della Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne e che LaPresse ha potuto visionare in anteprima. Complessivamente, nel corso del 2022, sono 4.174 gli uomini che hanno frequentato i Cuav, per una media di 45,9 uomini a centro. Sono 2.802 i nuovi ingressi: i percorsi all’interno di questi centri durano generalmente almeno 12 mesi. Tra questi uomini, 677 sono stranieri, 329 hanno dipendenze patologiche (l’8% sul totale delle prese in carico dei Cuav che hanno indicato questo dato), 173 uomini sono seguiti dai servizi di salute mentale (il 4% sul totale delle prese in carico dei Cuav che hanno indicato questo dato). “Va ricordato però – evidenzia a LaPresse il sociologo Pietro Demurtas, tra gli autori dell’indagine – che in alcuni centri non vengono ‘accettati’ nei percorsi uomini con gravi problemi psichiatrici o dipendenze”. Il dato è comunque indicativo del fatto che la maggior parte dei maltrattanti non sempre ha particolari problemi pregressi: “Non sono dei malati, ci sono molti stereotipi rispetto a queste persone come se fossero tutte con problemi psichici – dice a LaPresse la criminologa Francesca Garbarino, del CIPM -. Questo può essere tra i fattori di rischio ma non è la causa. Non necessariamente ci sono stati maltrattamenti precedenti subiti, vanno sfrondati tutti questi stereotipi. Non c’è un identikit del maltrattante“.

In pochi anni sono raddoppiati i centri per uomini maltrattanti in Italia: si è passati da 69 centri o sportelli nel 2017 a 141 (dato aggiornato al 31 dicembre 2022). Se si considerano solo i Cuav ‘autonomi’, senza considerare i punti d’ascolto, questi sul territorio nazionale sono 94. I Centri per uomini maltrattanti in Italia sono luoghi dove le persone possono avvicinarsi o volontariamente (perché si accorgono di alcuni segnali, come una reazione violenta con la propria compagna) o perché spinte da un ammonimento del questore o in seguito a condanne per reati orientati al genere (patteggiamenti, sospensioni condizionali della pena). Dall’entrata in vigore del Codice Rosso al 31 dicembre 2022, la quota degli ingressi da codice rosso in questi centri è pari al 32,3% sui nuovi presi in carico.

Secondo i dati del progetto Viva – Valutazione e Analisi degli interventi di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne, la maggior parte di questi centri si trova nel Nord Italia: in Emilia-Romagna (25 tra sportelli e centri), Piemonte (18) e Lombardia (15). Nel 50% di questi centri, il percorso per gli uomini maltrattanti dura almeno 12 mesi. Nel 65% dei Cuav, la valutazione iniziale dell’uomo che viene ‘preso in carico’ nel centro prevede un numero minimo di colloqui che varia da 1 a 3. Una quota di centri, il 32%, prevede da 4 a 6 colloqui e una minoranza, il 3%, realizza da 7 a 10 colloqui di valutazione prima di iniziare il percorso.

Un violento su quattro va da solo nei Cam

Circa il 25% degli uomini che si rivolgono ai Centri per autori di violenze, cioè 1 su 4, lo fa in modo volontario, e non dopo ammonimento del questore o in conseguenza a una condanna per reati orientati al genere. E’ quanto rileva LaPresse in base ai dati raccolti contattando i Cam, Centri di ascolto uomini maltrattanti, di Cremona, Firenze e in Sardegna. Al Cam di Firenze al momento ci sono in carico 256 uomini maltrattanti, molti in carcere. Un centinaio frequenta il centro, di questi circa 25 sono arrivati in modo volontario. Nel Cam di Cremona su 34 persone in carico, 8 sono arrivate in modo volontario. In Sardegna gli uomini che si sono rivolti spontaneamente al Cam sono tra il 25 e il 30%.

Si tratta di persone che accedono spontaneamente senza obblighi, chiedono aiuto perché magari c’è stato un episodio forte e si rendono conto di aver passato un limite, come uno schiaffo a una compagna o una reazione incontrollata” spiega Fernanda Werner a LaPresse, del Cam di Cremona.

Il dropout, ovvero la percentuale di coloro che abbandonano il percorso nei Centro per maltrattanti prima della fine, è in tutti i casi analizzati da LaPresse intorno al 30%. Tutte le operatrici intervistate rilevano che se si superano i primi due mesi, tendenzialmente il dropout “è molto basso”. I percorsi all’interno dei Cam durano tutti minimo 12 mesi. La rete dei Cam è una delle prime attive in Italia sul tema: il primo centro a Firenze ha iniziato a operare nel 2008, poi si è consolidato nel 2009 e oggi collegati a Firenze ci sono sportelli anche a Pistoia e Montecatini Terme. I Cam hanno accordi con le questure perché dopo gli ammonimenti per reati orientati al genere, gli uomini autori di maltrattamenti e violenze possano seguire dei percorsi nei Centri.

Boom invii da questure

Nei Cuav, centri per autori di violenze, dove sono seguiti uomini violenti o maltrattanti, aumentano gli invii da parte delle questure e dell’autorità giudiziaria. L’aumento nella proporzione degli invii da parte dei professionisti è rilevante, sono passati dal 10% nel 2017 al 32% nel 2022, gli invii da parte dell’autorità giudiziaria sono passati dall’11% al 20%. Ma sono gli invii da parte del questore ad aver registrato l’aumento maggiore: da 0,2% al 13%. Lo rileva la seconda indagine nazionale sui Centri per uomini autori di violenza del progetto Viva. Nello specifico, il primo protocollo con le questure fu stilato dal CIPM di Milano (protocollo Zeus): il protocollo prevede che al momento dell’esecuzione del provvedimento di ammonimento, sia per violenza domestica che per atti persecutori, l’autore delle condotte viene informato della presenza sul territorio di centri specializzati che si occupano di offrire un percorso “nell’ottica di implementare la capacità di contenimento e gestione delle violenze relazionali”. Per favorire la ‘presa in carico’ dei soggetti ammoniti, le questure, a partire da quella di Milano, hanno sottoscritto protocolli con i servizi presenti sul territorio. Altri simili accordi, sul modello del Protocollo Zeus, sono stati sottoscritti da altre questure, per esempio, con il Cam, Centro di ascolto maltrattanti. Questi Cuav sono poi integrati nei territori: l’incidenza dei Cuav che aderiscono a una rete territoriale antiviolenza è aumentata infatti passando dal 58% nel 2017 al 68% nel 2022, sempre secondo le analisi del progetto Viva -Analisi e valutazione degli interventi di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne.

Il problema del personale nei Cuav

Nella maggior parte dei Cuav, Centri per uomini autori di violenza, si fa ampio ricorso a operatori e lavoratori volontari o precar, spiega ancora l’analisi del progetto Viva. Nel report si parla di un 65% di personale retribuito ma solo il 15% di questo ha un contratto dipendente mentre il 51% ha altre forme contrattuali. Il 35% del personale opera in forma volontaria. “E’ lecito dubitare della capacità dei Cuav che fanno esclusivo ricorso a personale non retribuito di garantire la qualità e la sostenibilità di un lavoro così complesso come quello con gli autori di violenza” commenta a LaPresse il sociologo Pietro Demurtas, tra gli autori dell’indagine. “L’intesa Stato-Regioni del 2022 definisce chiaramente i requisiti che il personale nei Cuav deve avere per poter realizzare un’attività così complessa e delicata. Ne consegue che ci sono dubbi nel momento in cui molto personale è volontario” aggiunge. “C’è un discorso di professionalità, occorrono professionisti con formazione specifica, ma c’è anche un tema di sostenibilità delle azioni che sono difficilmente garantibili se c’è personale volontario o non dipendente” conclude Demurtas.

Il cambiamento: “Violenti come alcolisti, processo lento per disintossicarsi”

Gli uomini violenti che effettuano percorsi nei Centri per uomini autori di violenza, “traggono benefici da questi percorsi. Migliorano tendenzialmente su tutte le scale, in particolare quella della violenza fisica va tendenzialmente a zero sulla condotta”. A dirlo a LaPresse è la psicologa Alessandra Pauncz, del Cam di Firenze. “Su quasi tutti i comportamenti problematici si vede un miglioramento ma sono quelli più facilmente descrivibili, cioè ‘mi impedisce di uscire con le mie amiche’ o ‘mi dice come vestirmi’. Quelli più complicati da scardinare sono item come il controllo del denaro” aggiunge Pauncz. “Però forse c’è un’idea di fondo un po’ semplificata di cosa significhi il cambiamento. Le persone che intraprendono un percorso perché smettono di bere giorno per giorno acquisiscono mesi e anni di sobrietà. Possiamo dire che è un po’ così anche con la violenza, diamo a questi uomini strumenti per decostruire dei comportamenti. La capacità di monitorarsi dopo i percorsiáè molto soggettiva e dipende dalla persona, il processo di cambiamento è qualcosa che con questo percorso iniziaáe va poi prolungato nel tempo” aggiunge Pauncz.

“I risultati ci sono, chi riesce a finire il percorso ha ottimi risultati, evita in genere reiterazione di reati e gesti di violenza fisica” conferma a LaPresse anche la psicologa Fernanda Werner del Cam di Cremona. “Resta però un fatto culturale che, a volte restano i convincimenti rispetto al ruolo della donna. Migliora, si aprono delle riflessioni, ma il percorso è lungo” aggiunge.

I comportamenti da tenere d’occhio negli uomini potenzialmente violenti

“Ci sono molti comportamenti degli uomini che vengono ‘normalizzati’: la gelosia, il controllo, il superamento del fatto di essere lasciati (si può stare molto male ma è diverso dire non posso vivere senza qualcuno, si entra in uno spazio diverso). Non dobbiamo normalizzare i comportamenti controllanti, ossessivi, non dobbiamo minimizzare. Bisogna intervenire ai primi segnali e smettere di minimizzare tutti questi comportamenti sbagliati”. Così a LaPresse la psicologa Alessandra Pauncz, del Cam (Centro ascolto uomini maltrattanti) di Firenze, a proposito dei comportamenti degli uomini che commettono maltrattamenti e reati orientati al genere. “Il focus, delle norme e delle analisi, dovrebbe essere sul prima, non sul femminicidio. Il femminicidio, rispetto alla violenza domestica ad esempio, è fortunatamente molto meno frequente. Il controllo ossessivo, lo schiaffo, lo scambio di password, il revenge porn sono molto più diffusi. Siamo pieni di comportamenti violenti normalizzati o addirittura glorificati. Basta, occorre porre attenzione su questo” aggiunge Pauncz.

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