Per il Gip non si ravvisa però l'aggravante del metodo mafioso

Undici misure cautelari sono state eseguite dagli agenti della polizia di Stato di Bari nel quartiere Japigia del capoluogo pugliese nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia sul corteo funebre per il 27enne Christian Di Gioia, deceduto in seguito a un incidente stradale. Il 24 giugno scorso, il corteo composto da amici sfilò anche contro senso davanti al carcere di Bari. Per gli indagati, il gip del tribunale di Bari ha disposto l’obbligo di dimora e la presentazione alla pg, contestando il blocco stradale. Durante il percorso del corteo, alcuni dei promotori e dei partecipanti si sarebbero resi responsabili di minacce nei confronti dell’autista del mezzo funebre, emerge dall’inchiesta. Gli undici indagati sono stati identificati partendo dalla visione di numerose ore di registrazione dei filmati delle telecamere di video sorveglianza della città. Nel corso dell’operazione sono state eseguite perquisizioni domiciliari e i sequestri dei motoveicoli utilizzati per il blocco stradale, per i quali verrà richiesta la confisca. 

 

Gli indagati “ostacolavano il transito dei veicoli che procedevano nel senso corretto di direzione, costringendoli a fermarsi o invertire il senso di marcia, ciò per rendere possibile al corteo di percorrere in controsenso, la strada, sino a giungere sotto la recinzione della casa circondariale di Bari, dove i manifestanti rivolgevano applausi ai detenuti reclusi nei caseggiati prospicenti, in particolare per omaggiare il suocero Di Gioia, ristretto in carcere”, si legge nell’ordinanza firmata dal gip del tribunale di Bari, Nicola Bonante , di cui LaPresse ha preso visione. “Le manovre poste in essere dai motociclisti del corteo risultavano idonee a causare un significativo disagio alla circolazione veicolare, oltre che determinare un concreto pericolo per incidenti stradali”, si legge ancora nel provvedimento del gip.

Bari, inchiesta corteo funebre 27enne: per gip no metodo mafioso

“Non può giungersi alla medesima conclusione rassegnata dal pm in relazione alle circostanze aggravanti contestate agli indagati”, si legge inoltre nell’ordinanza. Per il gip “deve escludersi che gli indagati, nel caso in oggetto, si siano avvalsi della prerogative idonee a ritenere configurabile, a loro carico, l’aggravante del metodo mafioso” perché “risultano carenti alcuni presupposti indefettibili per l’integrabilità”. In primis, scrive il gip, “non appare ravvisabile per alcuno degli indagati l’evocazione di un sodalizio a matrice mafiosa al quale ancorare la provenienza delle azioni poste in essere nel corso del corteo”. E poi “non risulta affatto dimostrato alcuno stato di soggezione, intimidazione e omertà che deriva dalla forza tipica del vincolo associativo, né la percezione della ipotizzata provenienza mafiosa e neppure la consapevolezza di quanto stesse realmente accadendo”.

“Appare verosimile che la soccombenza e l’acquiescenza alle prepotenti condotte poste in essere dagli indagati, lungi dall’essere la conseguenza della maggiore forza prevaricatrice tipica del vincolo associativo, rappresentano la più logica e prevedibile reazione che persone con condotte di vita regolari, peraltro colte di sorpresa in una brevissima porzione di vita quotidiana al volante, manifestano a fronte di comportamenti di soggetti certamente privi di qualsivoglia senso civico, inseriti in contesti di degrado sociale e culturale”, prosegue poi l’ordinanza del Gip, nella quale si legge che gli indagati sarebbero stati “adusi ad atti di prepotenza verso il prossimo, nei cui confronti la desistenza da ogni possibile forma di ribellione risulta una reazione plausibile, comprensibile e giustificabile, anche alla luce della estrema rapidità degli accadimenti”. 

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