Al centro dell'inchiesta sul clan estorsioni e usura
La Corte di Cassazione, nella sentenza che ha emesso il 24 novembre, ha riconosciuto l’associazione per delinquere di tipo mafioso dell’articolo 416bis, per il clan dei Casamonica. Il dispositivo del 24 novembre scorso di fatto ha riconosciuto tutta la ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia di Roma nell’inchiesta del sostituto procuratore Edoardo De Santis, battezzata ‘Noi proteggiamo Roma’, nella quale finirono in manette 20 persone. Già le sentenze emesse in primo grado e in corte d’ Appello avevano riconosciuto l’associazione mafiosa per Guerrino ‘Pelè’ Casamonica, condannato a 10 anni e due mesi, Cristian Casamonica a 8 anni, mentre Sonia Casamonica e Daniele Pace, sono stati condannati rispettivamente a 7 e 6 anni. Un’altra imputata, Griselda Filipi, condannata nei due gradi di giudizio precedente e a cui era stato riconosciuto il 416 bis, è stato disposto l’appello bis.
Il perno centrale dell’inchiesta, oltre alle estorsioni, era l’usura. Nella sentenza di primo grado i giudici avevano scritto nelle motivazioni di condanna come il clan Casamonica “esercita il suo predominio sfruttando la fama criminale conquistata negli anni dall’intera rete familiare, ottenendo, grazie alla condizione di assoggettamento e di intimidazione della popolazione, prestazioni contrattuali non retribuite, servizi e pratiche non consentite e in generale, trattamenti di favore”.
“La conferma dell’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso da parte della Cassazione nei confronti dei Casamonica rappresenta una vittoria dello Stato e dei suoi uomini. A Roma la Mafia c’è, con le cosiddette piccole o nuove mafie e le mafie tradizionali. Noi risponderemo colpo su colpo, mettendo in campo tutti gli strumenti necessari per vincere questa battaglia contro il crimine organizzato” ha detto il presidente della Commissione antimafia, Chiara Colosimo, su X.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata