In totale erano sei gli operai tunisini impiegati in nero, di cui tre senza permesso di soggiorno per lavoro subordinato

Arresti per un caso di caporalato nel Lazio. I carabinieri della Compagnia di Tuscania, coadiuvati dai colleghi della Compagnia di Nola e del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Viterbo, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari – emessa dal gip presso il Tribunale di Civitavecchia su richiesta della locale Procura – nei confronti di due soggetti campani – padre e figlio -, indagati per omicidio colposo, per la morte di un bracciante agricolo tunisino di anni 57, avvenuta il 21 luglio in ospedale a Viterbo. L’uomo è morto due giorni dopo il ricovero in pronto soccorso a Tarquinia, dove era giunto in condizioni cliniche già disperate, con febbre alta e disidratazione. Le accuse per i due sono di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, realizzati attraverso lo sfruttamento dei lavoratori, approfittando del loro stato di bisogno, impiego di manodopera clandestina, violazione di qualsivoglia normativa sull’orario di lavoro ed in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.

In totale erano sei gli operai tunisini impiegati in nero, di cui tre senza permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Stando a quanto finora emerso, anche a seguito dell’autopsia del corpo senza vita del tunisino, quando il bracciante 57enne si è accasciato a terra svenuto, uno degli indagati avrebbe omesso di chiamare subito i soccorsi. Grazie al tempestivo allarme lanciato dai sanitari e all’intervento immediato dei carabinieri in ospedale si è riusciti ad individuare l’autovettura che lo aveva scaricato e ad identificare il conducente. Al termine delle indagini guidate dalla Procura di Civitavecchia, i militari della Stazione di Montalto di Castro hanno quindi dato esecuzione al provvedimento restrittivo degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico nei confronti dei due imprenditori campani, padre e figlio rispettivamente di anni 59 e 33, che adesso dovranno rispondere delle gravi accuse formulate dall’autorità giudiziaria. 

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