I tre militanti dell'Msi, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta vennero uccisi davanti sede del partito. Stefano Recchioni venne ucciso negli scontri esplosi poche ore dopo
Il 7 gennaio 1978 è passato alla storia come il giorno dell’eccidio di Via Acca Larentia, nel quartiere Tuscolano a Roma, dove all’epoca si trovava la sede del Movimento Sociale Italiano. Lì vennero uccisi due giovani militanti del Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. Qualche ora dopo, negli scontri esplosi durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo dell’agguato, venne ucciso un terzo militante missino Stefano Recchioni.
L’agguato con i primi due morti
Poco dopo le sei di pomeriggio, un gruppo di cinque giovani militanti neofascisti che stava uscendo dalla sede venne investito dai colpi di diverse armi automatiche sparati da una squadra di fuoco formato da cinque o sei persone. Uno dei militanti, Franco Bigonzetti, studente ventenne iscritto al primo anno di medicina, rimase ucciso sul colpo. Lo studente diciottenne Francesco Ciavatta, nonostante una prima ferita, provò a fuggire ma, colpito nuovamente alla schiena, morì in ambulanza durante il trasporto in ospedale. Gli altri tre giovani, Vincenzo Segneri, Maurizio Lupini e Giuseppe D’Audino, riuscirono invece a rientrare nella sede del partito chiudendo dietro di loro la porta blindata. Per il duplice omicidio non venne mai identificato nessuno anche se venne poi rivendicato dai Nuclei armati per il contropotere territoriale con una cassetta audio lasciata accanto ad una pompa di benzina. Tra le armi usate c’era anche una Skorpion, ritrovata poi in un covo delle Brigate rosse.
La manifestazione, gli scontri e il terzo morto
Poche ore dopo la morte di Bigonzetti e Ciavatta, essendosi ormai diffusa la notizia dell’agguato, nacque una manifestazione di protesta sul luogo dell’eccidio che in breve tempo sfociò in scontri che costrinsero le forze dell’ordine ad intervenire. Nei disordini rimase ferito anche il segretario nazionale del Fronte, Gianfranco Fini, colpito da un lacrimogeno. Fu proprio in quei momenti concitati che venne esploso un colpo di pistola: il proiettile raggiunse alla fronte il 19enne Stefano Recchioni, morto in ospedale due giorni dopo.
In un primo momento venne accusato dell’omicidio il capitano dei carabinieri Edoardo Sivori, poi scagionato dalla perizia balistica ed assolto definitivamente con una sentenza del 1983. A distanza di quattro anni invece, nel 1987, le confessioni della pentita Livia Todini portarono all’identificazione di cinque presunti responsabili del duplice omicidio: si trattava dei militanti di Lotta Continua Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari, Francesco de Martiis e Daniela Dolce. I primi quattro vennero arrestati, la quinta fuggì in Nicaragua. Scrocca si uccise in carcere il giorno dopo l’interrogatorio con i giudici. Gli altri accusati, invece, vennero assolti in primo grado per insufficienza di prove.
Francesca Mambro e la nascita dei Nar
L’eccidio di Acca Larentia segnò profondamente quel periodo contribuendo ad acuire le tensioni politiche: in quel clima, passato alla storia come gli anni di piombo, furono numerosi gli episodi legati alla lotta armata, al terrorismo e, più in generale alle violenze di piazza. A cambiare fu anche l’approccio di molti militanti neofascisti che, dopo i fatti del 7 gennaio, decisero di abbracciare la lotta armata. Tra loro la missina Francesca Mambro che, assieme Valerio e Cristiano Fioravanti, Dario Pedretti e Alessandro Alibrandi diede vita ai Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar), organizzazione terroristica neofascista e neonazista attiva dal 1977 al 1981 responsabile di 33 omicidi.
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